È l’estate del 1927 e gli Stati
Uniti si apprestano a vivere una stagione di eccezionali avvenimenti: Charles
Lindbergh è il primo pilota a trasvolare l’oceano Atlantico e raggiungendo
Parigi; Babe Ruth e Lou Gehrig animano i campi da baseball con la più grande
squadra mai esistita, i New York Yankees. Il pugile Jack Dempsey scalda le
folle di tutto il Paese, mentre il cinema conosce il sonoro. E ancora, le
riviste e i quotidiani conoscono uno straordinario boom che permette alla
popolazione di appassionarsi ai casi di cronaca, mentre le automobili
cominciano ad affollare le strade delle città e le metropoli iniziano a svilupparsi
in altezze vertiginose. Sono i ruggenti anni Venti, anni di felicità e benessere
che saranno spazzati via dalla crisi del 1929 e dalla Grande Depressione che
azzererà tutto negli anni Trenta.
Bill Bryson ha passato gran parte
della sua vita a viaggiare per il mondo, a osservare da vicino la cultura di
ogni popolo scoprendone le caratteristiche, sempre con una curiosità e un’ironia
poi presenti in ogni sua opera. Con L’estate
in cui accadde tutto, Bryson rinuncia all’indagine geografica per passare a
quella storica.
Quello di Bryson è sicuramente un
saggio storico, ma un saggio lontano anni luce dai libri scolastici o
universitari. Lo scrittore entra nelle pieghe della società del tempo e nel
costume per cercare un punto di inizio, un elemento riconducibile al presente.
Bryson passa al setaccio ogni elemento della cultura americana nel raffinato
gioco del “com’era una volta – come è
oggi” e, con la sua consueta ironia e capacità nel raccontare l’aneddoto
giusto al momento giusto, fornisce un’idea più che esaustiva di cos’era la vita
negli Stati Uniti nel 1927.
Non è tutto rose e fiori quello
che esce dal romanzo di Bryson, ma una miscela di eventi positivi come l’esplosione
dell’editoria e dell’industria dell’automobile, e di fatti negativi come il
dilagante razzismo, l’antisemitismo. Insomma, il quadro dell’America del 1927
fatto da Bryson restituisce un’idea di Paese pressoché identica a quello
odierna: il Paese delle opportunità e del benessere, infettato però da tremende
ambiguità che la storia non ha saputo eliminare.
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