Elaine Parks (Samantha Robinson)
è una strega alla ricerca dell’amore vero. Grazie alla sua bellezza riesce ad
attirare gli uomini a sé e a costringerli a bere un misterioso intruglio. La
pozione ha l’effetto di far cadere gli uomini ai piedi di Elaine e soprattutto
di far perdere loro la virilità, ciò che invece Elaine cerca in un uomo.
The Love Witch è il classico film per addetti ai lavori. Un
film sofisticato, girato in 35mm. Già a partire dalla locandina, The Love Witch guarda a quel cinema dell’orrore
degli anni Sessanta, contaminato, e non poco, dall’allora appena nata sexploitation. I film della Hammer, un
certo cinema italiano degli anni
Sessanta e soprattutto i film di Jess Franco sono tutti omaggiati da The Love Witch, scritto e diretto da
Anna Biller. L’epoca del Technicolor è rievocata in maniera formale pressoché
perfetta: la regista riesce a confondere il pubblico; lo spettatore non riesce
a capire se la vicenda è ambientata ai giorni nostri o nel passato. Anna Biller
non è nuova a questo tipo di cinema. Nel 2007 aveva diretto Viva, film ambientato nella Los Angeles
degli anni Settanta e girato anch’esso in 35mm. Anche Viva mirava a omaggiare un certo cinema d’exploitation tanto caro a
Russ Meyer.
The Love Witch, sopraffino esercizio di stile, è però una
pellicola ambiziosa anche per contenuti. La Biller, che oltre a dirigere e
scrivere, produce e mette mano ai costumi e alle musiche, lancia una
riflessione sull’erotismo e soprattutto sul ruolo della donna all’interno dei
meccanismi di coppia e, in maniera più ampia, all’interno della società. Il
personaggio di Elaine è la personificazione di un forte narcisismo patologico,
male poco conosciuto ma che può distruggere completamente un rapporto. Siamo
insomma in presenza di tematiche importanti. Argomenti che però non trovano
fondamenta su una trama ben costruita: il film ruota attorno a sequenze di
sicuro impatto visivo, ma comunque ripetitive, e le due ore finali risultano
essere un lungo trip per lo
spettatore, che termina la visione frastornato dalla bellezza delle immagini e
dalla vicenda, certamente più allegorica che reale.
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