Dublino, 1994. Il poliziotto
Martin Aitken e l’americana Ellen si incontrano la notte di Natale. Entrambi
cercano di fuggire dalle festività natalizie e da un’esistenza infelice. Lui è
divorziato e sta ancora elaborando il lutto per la morte del piccolo figlio;
lei ha un tumore al pancreas in stato avanzato, è fuggita dal proprio marito (a
cui ha chiesto il divorzio) e dai figli, ed è giunta in Irlanda per cercare la
sua madre naturale, che l’ha abbandonata quando era neonata. Insieme i due
cercheranno di mettere ordine nelle proprie vite.
Se c’è una cosa che tutto il
mondo dovrebbe imparare dalla narrativa irlandese contemporanea è la capacità
di trasmettere l’amore verso la propria patria, la propria storia e soprattutto
la propria cultura e il proprio folklore. La fine della strada è la storia di
un viaggio spirituale, fisico e storico che trasporta il lettore all’interno
della psiche dei protagonisti, delle loro vite e delle loro vicende famigliari.
O’Connor ha quella capacità di cogliere il quotidiano e restituirlo sulla
pagina bianca, magari ricordando in certi passaggi il Franzen de Le correzioni,
utilizzando sempre uno stile proprio fatto di energia, rabbia e soprattutto
dolcezza e ironia.
Quell’ironia che a tratti è
debordante e grottesca, ma che O’Connor riesce a incanalare nella stessa e
amara direzione presa dagli eventi narrati, portando anche il lettore a un
coinvolgimento totale della vicenda.
La fine della strada è un romanzo
intrinsecamente irlandese, una pinta di Guinness bevuta in Temple Bar, con il
suo sapore corposo e avvolgente, ma con quella punta di amaro che rende a
storpiare e rendere unica ogni sorsata.
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