Talvolta in ambito accademico la
nostalgia viene trattata e definita come il richiamo a un’epoca d’oro che viene
celebrata e rimpianta, creando così l’opportunità di riflettere e interrogarsi
sul presente.
E probabilmente questo era l’intento
di Lawrence Kasdan quando nel 1983 girò Il grande freddo, film cult per quelle
generazioni che hanno vissuto il Sessantotto in prima persona come i
protagonisti del film.
Nel Michigan, per il funerale di
Alex, suicidatosi senza apparente motivo, alcuni amici si riuniscono dopo
essersi persi di vista per 15 anni. I sogni e le speranze della giovinezza,
insieme alla voglia di ristabilire i vecchi rapporti riaffioreranno nel tempo che
il gruppo trascorrerà insieme.
Nel 1983 Il grande freddo risultava essere come un
film sugli anni Sessanta, su un momento cruciale per la storia degli Stati
Uniti; uno spaccato su un’intera generazione che ha fatto della controcultura e
della contestazione termini comuni. C’è tutta la voglia di rimanere giovani, di
non crescere mai, il culto degli anni che sono stati. E la colonna sonora del
film è scelta seguendo questa strada, suonando quasi arcaica e inappropriata
per quel 1983. Succede però che gli Anni Ottanta, come un tornado inesorabile,
hanno spazzato via tutto e quindi, volenti o nolenti, Il grande freddo passa a essere un film che
incarna gli anni Ottanta, come I Goonies e Ritorno al futuro. Per carità, il
Sessantotto nel film rimane, ma visto oggi nel 2016 non è quello che cattura lo
spettatore. Ci catturano i giovani volti di Glenn Close e Jeff Goldblum, di
Kevin Kline e William Hurt e soprattutto il loro presente. A catturarci sono le
note dei Rolling Stones, The Band, Aretha Franklin, artisti i cui nomi sono
scavati nella pietra e appartengono alla storia e alla memoria di tutti e non
si lasciano ingabbiare in un decennio soltanto.
E poi, giusto per fare un esempio,
che senso ha sapere di che anno è A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum visto
che è immortale?
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