Max Fischer (Jason Schwartzman)
ha 15 anni e frequenta la rinomata Rushmore Academy. Lo scarso profitto che
ottiene nello studio è compensato da un’eccezionale creatività che lo porta ad
essere coinvolto in prima persona in pressoché tutte le attività extracurriculari,
in particolare nella scrittura di opere teatrali. La sua precaria situazione
scolastica si complica quando nella sua vita irrompono Herman Blume (Bill
Murray), eccentrico industriale milionario, e la signorina Cross (Olivia
Williams), maestra di scuola elementare di cui Max s’innamora. È proprio questa
cotta ad innescare una serie di cambiamenti nella vita del giovane ragazzo.
Rushmore è il secondo
lungometraggio Wes Anderson, che già da
questa pellicola evidenzia i temi e le caratteristiche che esploderanno nei
suoi seguenti lavori e che lo proietteranno nel gotha di Hollywood: il
conflitto fra adolescenti svegli e capricciosi e adulti immaturi e
irresponsabili che si ritroverà ne I Tenenbaum (2001) e in Moonrise Kingdom –
Una fuga d’amore (2012) è un tratto caratteristico già presente in Rushmore. È un
mondo delle fiabe quello costruito da Anderson, in cui sono assenti persone
cattive e malvagie e ogni attimo è ricoperto da un leggero velo di ironica
malinconia e tristezza. Anderson dimostra di essere già regista sapiente e
lavora su ogni inquadratura, composta quasi come fosse un dipinto o, più in
linea con i tempi che corrono, una foto di Instagram super filtrata, e sfrutta
appieno il potere della musica servendosi delle note di John Lennon e Cat
Stevens fra gli altri.
Insomma, Rushmore è puro Wes
Anderson ante litteram, tappa essenziale per i cultori del regista texano, ma
90 minuti di sbadigli per chi è in cerca di emozioni forti.
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