Brooklyn, fine anni Ottanta. Bleek (Denzel
Washington) è trombettista e leader di una jazz band composta da Shadow
Henderson (Wesley Snipes), Bottom Hammer (Bill Nunn), Rhythm Jones (Jeff Watts)
e Left Hand Lacey (Giancarlo Esposito). È arrogante
e talentuoso, ha un ingaggio fisso al Beneath the Underdog, è gestito da Giant
(Spike Lee), suo manager e amico; quando non suona, divide il suo tempo fra le esercitazioni
e soprattutto fra le sue due amanti: Indigo (Joie Lee) e Clarke (Cynda Williams).
Fine. Sostanzialmente il film
finisce qui. 129 minuti in cui la rivalità con il suo sassofonista e i rapporti
turbolenti con le sue donne vengono solo trattati in superficie; la voglia di
guadagni più lauti, di un salto di qualità per la sua carriera e le lotte con i
proprietari del locale sono solo accennate.
Soprattutto manca la musica,
manca il jazz. O meglio, la musica c’è, ma è ridotta a cornice e sottofondo
costante (e fastidioso), quasi fossimo immersi in un eterno clippino,
sintonizzati su un canale tematico di MTV. Mancano le atmosfere fumose dei
locali di Brooklyn e Harlem, mancano John Coltrane, Charlie Parker e Miles
Davis (No, un paio di citazioni a fine film sono troppo poco) e soprattutto
manca il jazz puro in tutta la sua anima black.
E mancano i personaggi. Denzel
Washington, protagonista del film, è un personaggio senza alcun spessore
psicologico, Wesley Snipes (dovrebbe essere l’antagonista?) dimostra di essere
più adatto alla caccia di vampiri, mentre Spike Lee cerca con la sua
non-recitazione di aggiungere un tocco di “humor” (se così si può chiamare)
peggiorando in questo modo l’intera zuppa.
Qualche spunto c’è, il film
potrebbe prendere decine di strade diverse, ma finisce per non prenderne
nessuna, e quando sembra che una svolta ci sia, è troppo tardi, e il finale
risulta arrabattato, compresso e simile a una scatoletta di carne, che può
andar bene per un picnic primaverile, mai che mai ti aspetteresti quando ti siedi al tavolo del
ristorante di chef Spike Lee.
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