giovedì 23 marzo 2017

Film - Victoria (2015) di Sebastian Schipper



Victoria (Laia Costa) è una ragazza spagnola che vive da pochi mesi a Berlino. Alle 4 del mattino, all’uscita di un locale viene avvicinata da Sonne (Frederick Lau) e i suoi amici che le promettono di mostrarle il vero lato della città. Ma la loro notte votata al divertimento si trasforma in un viaggio di sola andata per l’inferno che culmina con una rapina in banca.
Non è tra i più originali il tema di Victoria, film tedesco del 2015 diretto da Sebastian Schipper. E in effetti Victoria non ambisce nemmeno a una sceneggiatura sopra le righe, indimenticabile. Victoria, Sonne e i suoi amici sono ragazzi come tanti, che trascorrono le proprie serate con una birra in mano, a ridere e scherzare. Nulla di sofisticato insomma.
Quello che rende Victoria un capolavoro (ci vogliamo sbilanciare) è che Victoria è stato realizzato come fosse un unico piano sequenza. Ora, per i profani, il piano sequenza è semplicemente l’uso di una sola inquadratura, talvolta molto lunga, per la rappresentazione di un segmento narrativo. Il piano sequenza dunque è l’antitesi del montaggio che tende a eliminare le parti superflue. Il recente Birdman di Iñarritu e il ben più vecchio Nodo alla gola di Hitchcock, utilizzavano dei piani sequenza in serie per dare un’impressione di continuità. In Victoria invece non c’è nessun trucco: le riprese sono iniziate alle 4.30 del mattino e sono terminate alle 6.54 senza soluzione di continuità. Sono due ore e mezza in cui progressivamente si passa da lunghe passeggiate e chiacchierate che lasciano trasparire uno spessore dei personaggi, al crimine più bieco, a una rabbia e povertà d’animo che esplodono nella seconda parte del film. Pur senza mai staccare il proprio sguardo dai suoi protagonisti, sempre seguiti dall’operatore Sturla Brandth Grøvlen, il film si trasforma passando dai dialoghi e dalle atmosfere tanto care a Richard Linklater, ai toni crudi più in linea con il cinema tedesco post-muro; e non è un caso se pensiamo che Schipper è stato assistente di Tom Tykwer, regista del film-manifesto Lola corre.
Ci voleva un film come Victoria: un film ambizioso per lo sforzo richiesto al cast e alla troupe, ma che centra in pieno l’obiettivo e sancisce l’esistenza di un cinema distante dall’industria americana, ma nemmeno appartenente a un circuito arthouse borioso e pieno di sé. Un cinema attentissimo al realismo, al narrare la vita vissuta, ma non per questo incline a scardinare inutilmente le teorie dei generi cinematografici.

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