lunedì 30 gennaio 2017

Libro - La memoria di Old Jack di Wendell Berry



Wendell Berry è nato nella contea di Henry, Kentucky nel 1934. Dopo alcuni anni passati a insegnare presso le università di New York e della California, nel 1965 si ristabilisce nel Kentucky dove tutt’ora vive con la famiglia in una fattoria. Prima di essere uno scrittore Berry è, come suo padre e come tutta la sua famiglia dal 1800, un  agricoltore e un forte ambientalista.
Gli scritti di Wendell Berry, narrativa e saggistica, portati in Italia dalle edizioni Lindau e dalle traduzioni di Vincenzo Perna risentono in maniera spontanea e naturale di questo tipo di background.
La memoria di Old Jack, quarto romanzo tradotto in italiano, ma terzo lavoro dello scrittore datato 1974 racconta l’esistenza di Jack Beechum, uomo novantaduenne, un tempo agricoltore e persona tutta d’un pezzo e ora confinato all’hotel del paese sempre più prossimo alla morte. Il vecchio Jack, sentendosi vicino alla fine, lascia riaffiorare i ricordi, un flusso continuo che ripercorre le tappe più significative della sua esistenza e dell’esistenza di tutta la comunità di Port William, villaggio rurale, vero protagonista di tutti i romanzi e di tutti i racconti di Wendell Berry.
Lo scrittore, allo stesso modo di Steinbeck e del John Williams di Stoner riesce a raccontare un’America lontana dalle metropoli frenetiche, tratteggiando personaggi di nitidissima umanità e sincerità.
L’armonia della comunità, il rispetto dei valori tradizionali quali lavoro e famiglia, l’amore per la propria terra e le proprie origini sono tutte caratteristiche che rendono Berry il più riconoscibile scrittore rurale, ma che in La memoria di Old Jack lasciano spazio al valore della storia narrata da chi l’ha vissuta, il ricordo che diventa fonte, la memoria personale che si fa collettiva.
È quando tutte le forze stanno per abbandonare l’uomo che sulla forza (lavorativa s’intende) vi ha costruito la propria vita, che la memoria permette a Jack di mantenere intatta la propria dignità e la propria autorità costruita e cementata negli anni con il culto del lavoro, con il sudore della fronte e con un’umiltà di fondo rispettata e riconosciuta dalla comunità.

Libro - Una vita come tante di Hanya Yanagihara



A New York si intrecciano le vicende di Willem, aspirante attore, Jb che insegue il successo nel mondo dell’arte, l’architetto Malcolm e l’avvocato Jude.
È proprio quest’ultimo, Jude St. Francis il vero protagonista del racconto, magnete della vicenda e del rapporto di amicizia che tiene legati i quattro amici per gli oltre trent’anni di vicenda raccontata in questo corposo romanzo, il secondo, di Hanya Yanagihara, portato in Italia da Sellerio e tradotto magnificamente da Luca Briasco.
Jude St. Francis è una persona brillante, caparbia e capace sul lavoro; enigmatica, riservata, impacciata e timida nella vita privata. Il personaggio di Jude è l’estrinsecazione di come il passato di una persona ritorna sempre a galla, di come certe ferite non cicatrizzano mai abbastanza e di come il passato di una persona possa diventare uno studio sulla condizione umana tout court.
I temi, fortissimi, sono quelli dell’abuso sessuale di minori, della pedofilia, dell’autodistruzione e, in maniera più tenue, dell’omosessualità maschile. Tutte caratteristiche che compongono il passato e il presente di Jude; due piani temporali che si alternano nella narrazione fluida e magnetica. Un racconto ipnotico che cattura come una serie tv di Netflix eppure sconvolge e tocca nel profondo per la sua cattiveria perversa e per la sua crudeltà.
Ma proprio qui si smascherano i limiti del romanzo: alla fine di una lettura coinvolgente, emozionante e sicuramente drammatica, si ha come l’impressione di aver letto le miserie e le terribili vicende di una persona costruite appositamente per scandalizzare il lettore. Una vita come tante manca di una vera naturalezza, e pecca di sensazionalismo. Sembra di aver letto una episodi messi in sequela con l’intento (un intento quasi costruito a tavolino in ambiente editoriale) di suscitare emozioni forti nel lettore in maniera “fasulla”, quasi truffandolo sfruttando quei temi e quei canali di sicura presa.
La scelta (che pare non casuale) della scrittrice di escludere qualsiasi riferimento all’attualità o alla cultura pop che renderebbero la vicenda collocabile temporalmente abbinata a quella di rendere la città di New York un posto anonimo che potrebbe chiamarsi Los Angeles, Londra o Parigi, hanno l’effetto boomerang di rendere il tutto ancora più distante e inverosimile, quasi una storia di fantascientifica crudeltà a cui l’uomo può essere sensibile ma sicuramente non abituato.