mercoledì 8 marzo 2017

Film - La luce sugli oceani (2016) di Derek Cianfrance




Dopo la prima guerra mondiale, Tom Sherbourne (Michael Fassbender), turbato dagli orrori del conflitto, chiede di essere nominato guardiano di un faro di un’isoletta tra l’oceano indiano e l’oceano antartico. Un giorno, assieme alla moglie Isabel (Alicia Vikander), trova una barca a remi naufragata con a bordo il cadavere di un uomo e una bimba che piange. Tom, scosso dall’accaduto e ligio al suo dovere di guardiano vorrebbe denunciare l’accaduto, ma Isabel, con già due aborti spontanei alle spalle, riesce a convincere il marito a tenere la bimba e crescerla come fosse loro figlia. Non molto tempo dopo però, la coppia fa la conoscenza di Hannah Roennfeldt (Rachel Weisz) madre naturale della piccola, risoluta a riavere indietro la bambina che credeva morta.
La luce sugli oceani, scritto e diretto da Derek Cianfrance, è un melodramma in piena regola, un condensato di situazioni e sentimenti che ciclicamente Hollywood si impegna a realizzare. Purtroppo La luce sugli oceani è un film mediocre. Purtroppo perché le musiche di Alexandre Desplat sono perfette e sposano alla perfezione i movimenti di camera di Cianfrance, la fotografia di Adam Arkapaw e i volti di Fassbender, della Vikander e della Weisz. Purtroppo perché è un film tecnicamente corretto, sontuoso per la ricerca e ricostruzione degli ambienti e dei costumi, ma troppo impegnato nella ricerca ossessiva della lacrima, dell’emozione e di un sentimento che alla fine risulta più stucchevole che spontaneo. Il dramma di una coppia che si vede portar via la figlia dalla madre naturale vorrebbe essere il suggerimento allo spettatore per una analisi coscienziosa su cosa voglia dire veramente prendersi cura di una persona. È uno spunto di riflessione che si può cogliere nel personaggio di Fassbender, uomo responsabile in preda ai sensi di colpa, la cui crisi interiore però è sepolta da Cianfrance da una coltre fatta di lettere d’amore, di lacrime, di lunghi primi piani; la piccola Lucy, sorta di MacGuffin della vicenda, diventa un oggetto, mentre l’essere genitore sembra più un possedere che un accudire.
È genitore colui che crea o colui che cresce il bambino? Ecco, La luce sugli oceani ha l’ambizione di voler suggerire un simile quesito, a cui però non trova risposta e nemmeno si impegna per cercarne una. Quello che fa, per i suoi eterni 133 minuti di durata, è voler far piangere il pubblico attraverso le interpretazioni dei suoi tre attori principali, colonne portanti di un film claudicante in più punti.

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