lunedì 13 febbraio 2017

Film - Moonlight (2016) di Barry Jenkins



Chiron, giovane afroamericano, vive nella parte più degradata di Miami fra droga e criminalità. Attraverso tre età della vita, infanzia, adolescenza e età adulta, Chiron cerca di trovare il proprio posto nel mondo, scoprendo la sua sessualità e soprattutto l’amore per il suo miglior amico.
Moonlight, secondo lungometraggio di Barry Jenkins, ribadisce l’esistenza di un cinema espressamente black, un movimento afroamericano, il cui maggior esponente è sicuramente Spike Lee, capace di suscitare interesse in critica e pubblico tanto da garantirsi una diffusione mainstream.
Moonlight è un condensato dei temi che condizionano e caratterizzano la faccia brutta delle metropoli americane. Il degrado delle periferie, lo spaccio di droga, la prostituzione, il bullismo; Barry Jenkins affronta ognuna di queste tematiche senza però sviscerarle e approfondirle. Tutto rimane solo sfiorato, accennato, non detto: il regista preferisce la ricerca di un intimismo e di una forma poetica attraverso una fotografia elaborata, una triste colonna sonora e soprattutto la recitazione degli attori, tra le poche note della pellicola. I tre attori che interpretano Chiron nelle diverse età, Mahershala Ali nella parte dello spacciatore dal cuore d’oro Juan, e Naomie Harris nelle vesti della madre tossicodipendente di Chiron risultano perfetti, grazie alla loro struggente interpretazione, a coprire il difetto principale di Moonlight: quella voglia ossessiva del regista di allontanarsi da qualsiasi etichetta e categoria che si possa appioppare al suo film. Moonlight è sostanzialmente un dramma di formazione a tinte gangsta che non si accontenta di essere ciò che è, evidenziando un’incompatibilità di fondo fra quel lirismo ricercato e quei temi di crudo realismo che il film vorrebbe trattare.
L’ambizione di Moonlight, quella di coniugare l’afroamericano all’LGBT fallisce nei silenzi e nei virtuosistici movimenti di camera ricercati dal regista, che trasforma la sua pellicola in un sofisticato quanto inutile esercizio di stile, che riduce (in termini di numero) il suo pubblico a una schiera di cinefili comodamente seduti in poltrona e lontani anni luce dalle periferie mostrate sullo schermo.

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