
L’elaborazione del lutto come
rielaborazione emotiva dei significati, dei vissuti e dei processi sociali
legati alla perdita della persona con la quale si era sviluppato un legame
continua a essere un archetipo principe per qualsiasi regista voglia cimentarsi
nella rappresentazione di un dramma.
Demolition – Amare e vivere vuole essere esattamente questo: la vicenda
di un cinico uomo che si scopre incapace di provare dolore o sentimento alcuno
per la perdita, ma che comunque sprofonda in una forma autodistruttiva di
depressione. Jake Gyllenhaal è il lui di una coppia tutt’altro che perfetta,
protagonista di un viaggio di riabilitazione confezionatogli su misura dal
regista.
È una pellicola che paga la sua
frenetica voglia di suscitare emozione, di spingere il pubblico alla lacrima.
Creando un personaggio cinico, insolente e insensibile al dolore, però, Vallée
ottiene fallisce nell’ottenere quell’empatia necessari da parte del pubblico e
il tracciato scritto per il suo protagonista si rivela essere un percorso
troppo didascalico.
Se vuoi risalire devi prima
toccare il fondo e se vuoi conoscere
veramente come sono fatte le cose devi prima smontarle pezzo per pezzo: pare
questo il messaggio che il regista voglia far passare; una demolizione fisica
necessaria per la ricostruzione fisica degli ambienti e psico-fisica del
protagonista che deve riscoprire il bello della vita. Già visto troppe volte.
Demolition
è, insomma, un sincero inno alla vita, un grido alla speranza e alla felicità,
uno slogan sicuramente positivo, lanciatoci però dal Gyllenhaal più antipatico
degli ultimi anni.
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