Una squadra di astronauti riesce
a prelevare un campione organico da Marte. Uno dei membri dell’equipaggio
espone la cellula a stimoli esterni e l’essere, soprannominato Calvin, risponde
gli impulsi. L’essere vivente però non è innocuo; cresce e soprattutto se
disturbato dimostra di essere in grado di uccidere. Calvin diventa così una
minaccia per l’equipaggio, la cui missione diventa quella di tenerlo lontano
dalla Terra.
Life – Non oltrepassare il limite è un esempio di come la più classica
fantascienza sia ancora viva e vegeta al cinema. Il regista Daniel Espinosa
porta sullo schermo il canonico scontro fra terrestri e invasori alieni. Life si dimostra un buon film di puro
intrattenimento; si allontana dai percorsi intellettuali e filosofici
intrapresi negli ultimi anni dal genere con prodotti quali Interstellar, Arrival e
la serie tv Westworld, per ricercare
invece il divertimento del suo pubblico. Espinosa ha l’accortezza di non voler
strafare: il suo Life si prende per
quello che è, ossia un film che pone, senza calcare la mano, dilemmi etici e
morali, e che spinge invece sulla suspense tipica di uno space movie in cui spiccano una roboante colonna sonora e un’abilità
del regista nell’uso della macchina da presa che fluttua per tutta la durata
del film all’interno della navicella.
Espinosa vince scegliendo di non
prendersi sul serio fino in fondo senza però rinunciare al rigore tecnico,
scientifico e filmico. Vince nello sfruttare l’enorme budget a disposizione e
vince nella costruzione del suo team, una squadra composta da alcune star di Hollywood quali Ryan Reynolds,
Jake Gyllenhaal e Rebecca Ferguson. È il film adatto per staccare la spina, per
distrarsi e per evadere: in questo senso Life
si allinea all’horror più commerciale. Puro intrattenimento, shock prorompente
e adrenalina a fiumi. Non è un film perfetto, intendiamoci, ma il finale a metà
fra Jumanji e un paranoid horror è veramente azzeccato.
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