venerdì 25 novembre 2016

Libro - La fine della strada di Joseph O'Connor



Dublino, 1994. Il poliziotto Martin Aitken e l’americana Ellen si incontrano la notte di Natale. Entrambi cercano di fuggire dalle festività natalizie e da un’esistenza infelice. Lui è divorziato e sta ancora elaborando il lutto per la morte del piccolo figlio; lei ha un tumore al pancreas in stato avanzato, è fuggita dal proprio marito (a cui ha chiesto il divorzio) e dai figli, ed è giunta in Irlanda per cercare la sua madre naturale, che l’ha abbandonata quando era neonata. Insieme i due cercheranno di mettere ordine nelle proprie vite.
Se c’è una cosa che tutto il mondo dovrebbe imparare dalla narrativa irlandese contemporanea è la capacità di trasmettere l’amore verso la propria patria, la propria storia e soprattutto la propria cultura e il proprio folklore. La fine della strada è la storia di un viaggio spirituale, fisico e storico che trasporta il lettore all’interno della psiche dei protagonisti, delle loro vite e delle loro vicende famigliari. O’Connor ha quella capacità di cogliere il quotidiano e restituirlo sulla pagina bianca, magari ricordando in certi passaggi il Franzen de Le correzioni, utilizzando sempre uno stile proprio fatto di energia, rabbia e soprattutto dolcezza e ironia.
Quell’ironia che a tratti è debordante e grottesca, ma che O’Connor riesce a incanalare nella stessa e amara direzione presa dagli eventi narrati, portando anche il lettore a un coinvolgimento totale della vicenda.
La fine della strada è un romanzo intrinsecamente irlandese, una pinta di Guinness bevuta in Temple Bar, con il suo sapore corposo e avvolgente, ma con quella punta di amaro che rende a storpiare e rendere unica ogni sorsata.

giovedì 24 novembre 2016

Film - The Help (2011) di Tate Taylor



Jackson, Mississippi. Primi anni Sessanta. Appena laureatasi, Skeeter (Emma Stone) trova impiego presso un giornale rispondendo alla posta delle casalinghe. Il razzismo imperante nel profondo sud degli Stati Uniti combinato alla sua voglia di scrivere e al suo talento la spingono a raccontare la vita delle persone bianche vista dagli occhi dei neri. Per farlo chiede aiuto a due cameriere di famiglie bianche, Aibileen (Viola Davis) e Minny (Octavia Spencer). Le loro memorie, trasformate in libro da Skeeter, saranno in grado di smuovere le coscienze della popolazione.
The Help esce nel 2011 e anticipa quella tendenza che pare essere diventata moda a Hollywood: Django Unchained è del 2012, 12 anni schiavo del 2013 e Selma – La strada per la libertà è del 2014. Ognuno di questi film, a modo suo, racconta il razzismo che regnava (e regna purtroppo) in diverse zone degli Stati Uniti fin dai tempi dell’indipendenza.
The Help è il racconto, tutto al femminile, della violenza psicologica subita dai neri d’America, vittime di soprusi mascherati da carità e solidarietà religiosa. Non c’è violenza fisica nel film: il razzismo di The Help è un vero e proprio stillicidio fatto di piccoli torti, divieti e torture psicologiche. The Help è la dimostrazione di quanto Hollywood sia sensibile a un problema tanto passato quanto attuale, e evidenzia tutta quella rabbia repressa che si può cogliere negli occhi di Viola Davis e Octavia Spencer, volti perfetti per questo film che trasuda black culture e musica gospel, ed è un perfetto esempio di come l’immagine (quella del film stesso) e la parola (quella del libro scritto dalle protagoniste) siano veicoli di meritato riscatto sociale.

mercoledì 23 novembre 2016

Film - Sully (2016) di Clint Eastwood



Il 15 gennaio del 2009 il volo di linea Airways 1549 è costretto ad un ammaraggio di emergenza nelle acque del fiume Hudson, in piena New York. Grazie all’abilità e al sangue freddo del capitano dell’aereo, l’esperto Chesley “Sully” Sullenberger, tutti i 155 passeggeri riescono a sopravvivere. Ritenuto un eroe per l’opinione pubblica, Sully si troverà costretto a rispondere della propria manovra davanti al National Transportation Safety Board, che ne metterà in discussione l’ultraquarantennale carriera.
Raccontando l’epopea di Sully, Clint Eastwood continua il suo percorso all’interno della storia e della cultura americana, iniziato almeno trent’anni fa con Gunny e proseguito soprattutto negli ultimi anni con Flags of Our Fathers e American Sniper.
Il patriottismo viscerale di Eastwood, l’amore incondizionato provato verso la propria nazione esplode in Sully, film costruito attorno alla psiche del suo protagonista, interpretato da un immenso Tom Hanks. Il suo Sully è il tipico uomo americano, capace di svolgere in modo perfetto il proprio lavoro, vero patriota e individuo attaccato a valori sacri per la sua nazione. Sully incarna quel fattore umano che vince contro la macchina, l’esperienza e il sangue freddo che trionfano sulle simulazioni e sui calcoli matematici. È l’uomo qualunque che non vuole combattere il sistema, ma semplicemente vedere legittimate le proprie azioni contrapponendo alle regole la propria onestà morale.
Sully è un individuo che fugge dall’etichetta di eroe perché non si ritiene un mito come viene disegnato da un sistema mediatico in continuo fermento, ma un semplice lavoratore che lotta e lotterà per mantenere il proprio posto e i propri diritti, come fanno miliardi di lavoratori ogni giorno, eroi (questi sì) silenziosi di questo mondo.

martedì 22 novembre 2016

Film - Music Graffiti (1996) di Tom Hanks



È il 1964. Dopo l’entrata nel gruppo come batterista  di Guy Patterson (Tom Everett Scott), i The Wonders scalano le classifiche americane con il brano That Thing You Do, attirando gli interessi delle case discografiche. Ad occuparsi di loro ci pensa Mr. White (Tom Hanks), agente di un’etichetta che porterà gli amatoriali Wonders  a successi repentini e strabilianti, ma anche a un rapido declino.
Primo film da regista per Tom Hanks che riproduce alla perfezione lo scenario della musica pop statunitense degli anni Sessanta. Music Graffiti è una fedele ricostruzione del mondo musicale di quell’epoca fatta di classifiche settimanali, canzonette pop, tournée estenuanti e contratti restringenti. Un’epoca dominata da gruppi e artisti capaci di raggiungere il successo con un singolo e poi sparire per sempre, schiacciata dai meccanismi dello star system musicale dell’epoca. È il fenomeno delle One-hit Wonders, a cui il film fa il verso fin dal nome della band.
Tom Hanks , anche sceneggiatore della pellicola, riesce a trattenersi dal premere l’acceleratore sugli elementi nostalgici che avrebbero reso il film un semplice biopic sulle imprese di un gruppo musicale (per quanto fittizio), ma preferisce inoltrarsi  in meccanismi in grado di ragionare sul successo e sulla natura effimera della celebrità. Music Graffiti, quindi, è come un vero e proprio smascheramento del mondo musicale, troppo spesso inserito in discorsi artistici, ma che il più delle volte si muove e ragiona come una vera industria modellata e guidata dalle logiche del mercato e da una meritocrazia sempre più sfuggente. I Wonders degli anni Sessanta sono ciò che oggi producono i talent televisivi; giovani star usa e getta, della durata di una stagione televisiva, cestinate e sostituite dopo essere state spremute come agrumi dal sapore il più delle volte sgradevole.

lunedì 21 novembre 2016

Libro - Settanta di Simone Sarasso



Settanta è il secondo capitolo della trilogia scritta da Simone Sarasso che racconta la storia d’Italia dal dopoguerra fino a Tangentopoli, periodo buio e tetro della nostra Repubblica, minato da attentati e violenza e soprattutto circondato ancora oggi da un alone di mistero e di verità mai raccontate.
In questo secondo volume si va dal fallito Golpe Borghese del 1970 alla bomba alla stazione di Bologna del 1980; un decennio che macchia indelebilmente di sangue e odio la nostra Repubblica.
Come per Confine di Stato, attorno ai personaggi di finzione costruiti da Sarasso si sviluppano le vicende che hanno segnato la storia recentissima del nostro Paese; Piazza della Loggia, l’Italicus, la P2, il sequestro Moro: in Settanta c’è proprio tutto, lo scrittore non dimentica niente e nessuno, ma lo fa seguendo alla perfezione la lezione di Ellroy (soprattutto quello della tetralogia di Los Angeles) mischiando la realtà con la finzione, portando il lettore in un’Italia inventata, ricostruita, ma comunque perfettamente verosimile. La ricostruzione di Sarasso in questo senso è maniacale e in ogni frase restituisce al lettore le atmosfere, la cultura e il costume dell’epoca miscelando (come era stato per Confine di Stato) diverse voci narrative, rubando qua e là un po’ al cinema, alla musica e al fumetto. Il risultato è un grandioso (anche per lunghezza) affresco pulp dalle venature post-moderne e conferma Sarasso come scrittore capace di cimentarsi in quella serialità che mancava alla letteratura di genere italiana, forse troppo dipendente dallo stile di un De Cataldo, e meno aperta a quelle nuove tendenze che la televisione pare sia stata in grado di intercettare con  produzioni di successo quali le serie di Romanzo criminale, Gomorra, 1992, The Young Pope e la prossima Suburra.