lunedì 28 novembre 2016

Film - Miss Peregrine - La casa dei bambini speciali (2016) di Tim Burton



Basandosi sui racconti fantastici del nonno misteriosamente ucciso, Jake (Asa Butterfield) si ritrova nella Casa per bambini speciali di Miss Peregrine (Eva Green), su un isolotto del Galles. Qui conosce i vari abitanti della villa, tutti dotati di speciali “peculiarità”. Stimolato dal nuovo ambiente, Jake conoscerà più a fondo se stesso e aiuterà i nuovi amici a sconfiggere una pericolosa minaccia.
Tim Burton si conferma regista unico nella creazione di universi fantastici e gotici, e soprattutto nella rappresentazione allegorica della solitudine, incarnata da creature bizzarre e stravaganti. Questo Miss Peregrine è pieno zeppo di quegli stilemi che caratterizzano e hanno caratterizzato gran parte della filmografia del regista californiano. Ma purtroppo Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali è poco altro e ha il difetto di assomigliare troppo alle copie sporche e sbiadite di Harry Potter, Le cronache di Narnia e La fabbrica di cioccolato.
Sembra tutto già visto e conosciuto; Miss Peregrine è una cozzaglia di sequenze ipercinetiche, cinema fantasy per un pubblico young adult che però ormai è abituato a questo tipo di immagini e non può rimanerne stupito o affascinato. Il film paga una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti e una scrittura dei personaggi messa assieme alla bell’e meglio, con il risultato che Asa Butterfield è un protagonista noioso e per nulla empatico e Samuel L. Jackson è il villain di turno che fatica a ritagliarsi il suo spazio.
Il film può stare in piedi solo al nome del regista che compare sul cartellone, quel Tim Burton che aggiunge una pietra al suo palazzo in costruzione da ormai più di trent’anni, con la speranza però che Miss Peregrine non ne sia una parete portante.

domenica 27 novembre 2016

Film - Elle (2016) di Paul Verhoeven



Michèle (Isabelle Huppert), donna forte e in carriera, viene aggredita e stuprata in casa sua. Rinuncia però a denunciare l’accaduto alla polizia e intraprende invece un’indagine personale che la porta a rielaborare e riscoprire le proprie pulsioni in bilico fra desiderio e violenza.
Paul Verhoeven a 78 anni torna a miscelare quella sessualità e quella violenza che già si erano viste nei suoi precedenti lavori, Basic Instinct in primis. Il personaggio interpretato magistralmente da Isabelle Huppert ci appare subito come la vittima: stesa a terra, violentata e con i vestiti strappati, Michèle è l’incarnazione della violenza sul corpo femminile.
Succede però che Michèle è una donna divorziata, dispotica sul lavoro; ha una giocosa relazione con il marito della sua migliore amica, e nel frattempo flirta anche con il vicino di casa. Ha un rapporto turbolento con il figlio che sta per avere un bambino e un pessimo rapporto con la madre che si sta per risposare, e soprattutto è figlia di un uomo che 40 anni prima ha ucciso 27 bambini in un atto di follia.
Michèle non può più essere vista come la vittima: è un personaggio ambiguo, le cui ragioni e perversioni sfuggono a una logica lineare. Michèle è una donna spinta dalla lussuria. Una lussuria che la porta ad accettare uno stupro subito e soprattutto che la spinge a mantenere un comportamento fatto di eccessi, nel lavoro e nel privato.
Elle dimostra di essere il nuovo tentativo (riuscito) di Verhoeven di rappresentare l’inscindibilità  tra violenza e sessualità, staccandosi dai discorsi freudiani e abbracciando una sottile ironia che permette al film di scardinare le convenzioni dei generi cinematografici (e sessuali) e sconvolgere le aspettative del pubblico.

venerdì 25 novembre 2016

Libro - La fine della strada di Joseph O'Connor



Dublino, 1994. Il poliziotto Martin Aitken e l’americana Ellen si incontrano la notte di Natale. Entrambi cercano di fuggire dalle festività natalizie e da un’esistenza infelice. Lui è divorziato e sta ancora elaborando il lutto per la morte del piccolo figlio; lei ha un tumore al pancreas in stato avanzato, è fuggita dal proprio marito (a cui ha chiesto il divorzio) e dai figli, ed è giunta in Irlanda per cercare la sua madre naturale, che l’ha abbandonata quando era neonata. Insieme i due cercheranno di mettere ordine nelle proprie vite.
Se c’è una cosa che tutto il mondo dovrebbe imparare dalla narrativa irlandese contemporanea è la capacità di trasmettere l’amore verso la propria patria, la propria storia e soprattutto la propria cultura e il proprio folklore. La fine della strada è la storia di un viaggio spirituale, fisico e storico che trasporta il lettore all’interno della psiche dei protagonisti, delle loro vite e delle loro vicende famigliari. O’Connor ha quella capacità di cogliere il quotidiano e restituirlo sulla pagina bianca, magari ricordando in certi passaggi il Franzen de Le correzioni, utilizzando sempre uno stile proprio fatto di energia, rabbia e soprattutto dolcezza e ironia.
Quell’ironia che a tratti è debordante e grottesca, ma che O’Connor riesce a incanalare nella stessa e amara direzione presa dagli eventi narrati, portando anche il lettore a un coinvolgimento totale della vicenda.
La fine della strada è un romanzo intrinsecamente irlandese, una pinta di Guinness bevuta in Temple Bar, con il suo sapore corposo e avvolgente, ma con quella punta di amaro che rende a storpiare e rendere unica ogni sorsata.

giovedì 24 novembre 2016

Film - The Help (2011) di Tate Taylor



Jackson, Mississippi. Primi anni Sessanta. Appena laureatasi, Skeeter (Emma Stone) trova impiego presso un giornale rispondendo alla posta delle casalinghe. Il razzismo imperante nel profondo sud degli Stati Uniti combinato alla sua voglia di scrivere e al suo talento la spingono a raccontare la vita delle persone bianche vista dagli occhi dei neri. Per farlo chiede aiuto a due cameriere di famiglie bianche, Aibileen (Viola Davis) e Minny (Octavia Spencer). Le loro memorie, trasformate in libro da Skeeter, saranno in grado di smuovere le coscienze della popolazione.
The Help esce nel 2011 e anticipa quella tendenza che pare essere diventata moda a Hollywood: Django Unchained è del 2012, 12 anni schiavo del 2013 e Selma – La strada per la libertà è del 2014. Ognuno di questi film, a modo suo, racconta il razzismo che regnava (e regna purtroppo) in diverse zone degli Stati Uniti fin dai tempi dell’indipendenza.
The Help è il racconto, tutto al femminile, della violenza psicologica subita dai neri d’America, vittime di soprusi mascherati da carità e solidarietà religiosa. Non c’è violenza fisica nel film: il razzismo di The Help è un vero e proprio stillicidio fatto di piccoli torti, divieti e torture psicologiche. The Help è la dimostrazione di quanto Hollywood sia sensibile a un problema tanto passato quanto attuale, e evidenzia tutta quella rabbia repressa che si può cogliere negli occhi di Viola Davis e Octavia Spencer, volti perfetti per questo film che trasuda black culture e musica gospel, ed è un perfetto esempio di come l’immagine (quella del film stesso) e la parola (quella del libro scritto dalle protagoniste) siano veicoli di meritato riscatto sociale.

mercoledì 23 novembre 2016

Film - Sully (2016) di Clint Eastwood



Il 15 gennaio del 2009 il volo di linea Airways 1549 è costretto ad un ammaraggio di emergenza nelle acque del fiume Hudson, in piena New York. Grazie all’abilità e al sangue freddo del capitano dell’aereo, l’esperto Chesley “Sully” Sullenberger, tutti i 155 passeggeri riescono a sopravvivere. Ritenuto un eroe per l’opinione pubblica, Sully si troverà costretto a rispondere della propria manovra davanti al National Transportation Safety Board, che ne metterà in discussione l’ultraquarantennale carriera.
Raccontando l’epopea di Sully, Clint Eastwood continua il suo percorso all’interno della storia e della cultura americana, iniziato almeno trent’anni fa con Gunny e proseguito soprattutto negli ultimi anni con Flags of Our Fathers e American Sniper.
Il patriottismo viscerale di Eastwood, l’amore incondizionato provato verso la propria nazione esplode in Sully, film costruito attorno alla psiche del suo protagonista, interpretato da un immenso Tom Hanks. Il suo Sully è il tipico uomo americano, capace di svolgere in modo perfetto il proprio lavoro, vero patriota e individuo attaccato a valori sacri per la sua nazione. Sully incarna quel fattore umano che vince contro la macchina, l’esperienza e il sangue freddo che trionfano sulle simulazioni e sui calcoli matematici. È l’uomo qualunque che non vuole combattere il sistema, ma semplicemente vedere legittimate le proprie azioni contrapponendo alle regole la propria onestà morale.
Sully è un individuo che fugge dall’etichetta di eroe perché non si ritiene un mito come viene disegnato da un sistema mediatico in continuo fermento, ma un semplice lavoratore che lotta e lotterà per mantenere il proprio posto e i propri diritti, come fanno miliardi di lavoratori ogni giorno, eroi (questi sì) silenziosi di questo mondo.