venerdì 2 giugno 2017

Film - Billy Lynn - Un giorno da eroe (2017) di Ang Lee



2004. Billy Lynn (Joe Alwyn) è un componente della Squadra Bravo, divenuta celebre in tutta America dopo la diffusione di un video di una loro pericolosa missione in Iraq. Rientrato assieme ai compagni per una tournée celebrativa, Billy è costretto a presenziare a un concerto delle Destiny’s Child durante l’intervallo di una partita di football a Dallas. Billy, ancora traumatizzato dagli orrori della guerra, dovrà affrontare le luci della ribalta, indeciso se tornare in Iraq o ascoltare la sorella Kathryn (Kristen Stewart), risoluta a trattenerlo negli Stati Uniti.
C’è un acronimo che può tranquillamente riassumere il contenuto di questo film. DPTS: disturbo post-traumatico da stress. Billy Lynn – Un giorno da eroe tratta infatti la sofferenza dell’uomo conseguente alla violenza e al trauma della guerra. È un fenomeno molto diffuso fra i veterani americani. Il film di Ang Lee mette l’accento, oltre che sull’incapacità del soldato di riadattarsi alla vita reale (evidente nell’incapacità di distinguere il rumore di uno sparo da quello di un fuoco d’artificio), anche sulla distanza incolmabile che si crea tra chi la guerra l’ha vista da vicino, vissuta in prima persona, e chi invece l’ha osservata in tv e letta sui giornali.
Non c’è un’eccessiva critica alla società americana; gli intenti satirici di Billy Lynn si limitano ai personaggi senza scrupoli, ma troppo macchiettistici di Chris Tucker e Steve Martin. C’è piuttosto un discorso tecnico portato avanti da Ang Lee dedicato a un pubblico più colto. Il film infatti è stato realizzato con una tecnologia tutta nuova in 3D, a 4K e 120 fotogrammi al secondo (quando il cinema normale è fermo ai 24 fotogrammi al secondo). Il regista ha voluto esagerare anche nella luminosità dello schermo in ogni inquadratura, utilizzando a ripetizione il primo piano sugli attori, i cui occhi guardano spesso volutamente in camera. Difficile dire se sia stata una scelta vincente: le atmosfere di festa dello stadio di Dallas fanno a pugni con il morale dei commilitoni e lasciano lo spettatore in una situazione di disorientamento, di ambigua allucinazione che pone una distanza incolmabile con ciò che si muove sullo schermo. Forse la stessa distanza che separa i militari dai civili.

mercoledì 31 maggio 2017

Film - Dark Night (2017) di Tim Sutton



Nel 2012 ad Aurora, in Colorado, il ventiquattrenne James Holmes uccide 12 persone e ne ferisce 58 durante la proiezione del film Il cavaliere Oscuro – Il ritorno. Dark Night, film del 2017 di Tim Sutton è la ricostruzione di quella tragica giornata attraverso lo sguardo di alcune vittime e del carnefice.
Dark Night, che nella pronuncia inglese è molto simile a Dark Knight (titolo originale de Il Cavaliere Oscuro) si inserisce a pieno titolo all’interno di quella categoria che prende il nome di shooting drama di cui Elephant di Gus Van Sant è sicuramente il maggior rappresentante. Dark Night è un film disturba, non lascia indifferenti: nonostante un epilogo scontato e già noto allo spettatore, attraverso un continuo intrecciarsi di storie e un virtuosismo registico in pieno stile indie, Sutton ricostruisce la triste vicenda scegliendo un taglio documentaristico e limitando il più possibile i dialoghi, pressochè sostituiti da continui primissimi piani e da una ipnotica colonna sonora fatta dalla chitarra e dalla voce di Maica Armata.
Dark Night è la rappresentazione di un’America deviata, in cui anche le vittime rappresentano le paranoie e i difetti di una società sempre più fuori controllo. Oltre al carnefice, tra i personaggi raffigurati da Sutton, ci sono una ragazza ossessionata dal fitness e dalla bellezza, un militare che prova a riadattarsi alla vita civile, un ragazzo fissato con in videogiochi. Vittime e assassino sono figli della stessa società, della stessa follia. L’omicida è uno solo, e fin dai primi minuti è chiara a tutti la sua identità. Eppure la sensazione è che chiunque, in Dark Night, potrebbe essere in grado di compiere terribili gesti.
Dark Night è una corsa all’inferno, un viaggio senza speranza verso la morte, in cui il regista non nasconde tutte le contraddizioni dell’american dream. C’è sicuramente una feroce critica alla diffusione incontrollata delle armi, ma anche una più sottile contestazione alla società occidentale colpevole di produrre automi in serie ossessionati dall’esteriorità, dal benessere, dal consumismo.
Dark Night è un film breve, dura poco più di 80 minuti, ma è una pellicola che colpisce nel segno: è disturbante per la precisione chirurgica di certe inquadrature e certi primi piani, angosciante per il modo con cui raggiunge e (poi in qualche modo evita) il triste epilogo finale. Siamo in presenza di un film che turba e che fa pensare, cosa rarissima nel cinema di oggi.

giovedì 25 maggio 2017

Libro - Indian Creek di Pete Fromm



Pete è uno studente di biologia della fauna selvatica. Tramite il programma dell’Idaho Fish & Game, Pete ottiene un posto come guardiano di due milioni e mezzo di uova di salmone nel selvaggio Selway-Bitterroot, tra l’Idaho e il Montana. Il lavoro però non è così semplice: per sette mesi Pete dovrà stare da solo sulle Montagne Rocciose, in una tenda a sessanta chilometri dalla prima strada e a quasi cento dalle prime case.
In Indian Creek Pete Fromm ha raccontato con immensa sincerità il suo lungo inverno sulle Montagne Rocciose, alla fine degli anni Settanta. Pete, all’epoca poco più che ventenne è la personificazione di quella forma di incompletezza che prende i giovani di tutto il mondo e che gli spinge verso cambiamenti radicali. Indian Creek, è soprattutto questo: un diario scritto in prima persona che racconta il processo di formazione e di trasformazione dello scrittore protagonista. Non siamo di fronte a un romanzo per gli amanti dell’escursionismo e dell’avventura estrema; o meglio non solo.
Indian Creek racconta dell’importanza delle scelte che l’età che avanza porta l’individuo a fare, narra l’evoluzione interiore e spirituale dell’essere umano. Pete Fromm, in ogni parola, si approccia al racconto con l’innocente umiltà propria del fanciullo. Non insegna al lettore come ci si comporta al freddo rigido o di fronte a un animale selvatico. Indian Creek non è un manuale per giovani marmotte o un lungo e lento filosofeggiare che cerca di spiegare come gira il mondo. Fromm libera fin da subito una purissima forma di incoscienza e inesperienza che permettono l’immediata immedesimazione del lettore. Centinaia di saggi e reportage hanno raccontato le più eroiche e coraggiose imprese dell’uomo, ma in pochi l’hanno fatto con la morbidezza di Fromm, capace di meravigliarsi di fronte alle novità e alle difficoltà poste dalla natura, ma anche in grado di rimboccarsi le maniche fino a trovare armonia e pace nella solitudine. È proprio la solitudine, quella componente che permette di cogliere il genio e la scelleratezza dell’uomo, sfaccettature di una società (occidentale) che, per una forma di limite mai superato o disinteresse, non è riuscita a corrompere quella natura che Fromm ha conosciuto nello sperduto Montana  e che ha portato fino a noi.

domenica 21 maggio 2017

Top 7 - Sette romanzi sull'amicizia



Tecnicamente l’amicizia è un reciproco affetto tra persona e persona nato da una scelta volontaria che tiene conto della conformità dei caratteri e di una prolungata consuetudine. È proprio una brutta definizione. Infatti noi preferiamo dire che l’amicizia è “quella cosa lì”.
La letteratura, il cinema e la tv (come ovviamente per l’amore) da sempre cercano di raccontare storie fondate sull’amicizia. Noi dell’Ignorante con questa classifica ci siamo concentrati su storie di amicizia maschile. Non è semplice parlare di un valore così profondo senza scadere nella retorica. I romanzi che rientrano in questa classifica, almeno secondo noi, si distinguono per tatto e sensibilità, componenti che, per quanto a volte invisibili, sono sempre presenti in una solida amicizia fra uomini.
7 – Due sulla strada (The Van) di Roddy Doyle. Jimmy Rabbitte senior, disoccupato e squattrinato, trascina la sua esistenza fra il pub e il campo di calcio dei ragazzi. Quando anche il suo migliore amico, Bimbo, viene licenziato, i due decidono di fare qualcosa per riscattarsi ai propri occhi e a quelli delle famiglie: acquistare un furgoncino e mettersi davanti ai locali, sulle spiagge, a vendere hamburger e patatine. È un'impresa che porterà un po' di soldi, una quantità di avventure impreviste, parecchi momenti esilaranti, e qualche subbuglio in famiglia. Due sulla strada è il terzo capitolo della fantastica trilogia di Barrytown. È ambientato durante Italia ’90 e in maniera potentissima scandisce una gerarchia fra amicizia e affari.
6 – Tutto il mondo ha voglia di ballare di Alberto Garlini. Roberto e Riccardo si conoscono da ragazzini, nel 1975. È però negli anni Ottanta che la loro amicizia si sviluppa, fiorisce e, in una parabola fatalmente rapida, avvizzisce. Accanto a Roberto e Riccardo ci sarà Chiara, e poi Pier Vittorio Tondelli. L'amore tra Chiara e Riccardo e la relazione tempestosa tra Roberto e Pier occupano queste pagine assieme alla scoperta del mondo, dei libri, della politica, della musica, in una fase cruciale della nostra storia recente. Garlini si conferma maestro nel miscelare realtà e finzione, uomini realmente esistiti e personaggi inventati. Tutto il mondo ha voglia di ballare è anche una profonda riflessione su cosa sono stati gli anni Ottanta.
5 – Trainspotting di Irvine Welsh. Un gruppetto di ragazzi della periferia di Edinburgo: il sesso, lo sballo, la rabbia, il vuoto delle giornate.. Alla ricerca di un riscatto, di un senso da dare alla propria esistenza che non sia il vicolo cieco fatto di casa, famiglia e impiego ordinario, trovano nella droga e nella violenza l’unica risposta possibile. Tutti conoscono il film Trainspotting di Danny Boyle. In pochi invece conoscono le differenze fra la pellicola e il romanzo, racconto sicuramente incentrato sul degrado sociale di quella generazione, ma anche sulla viscerale amicizia che unisce i personaggi del libro.
4 – Una vita come tante di Hanya Yanagihara. A New York vivono quattro ragazzi, ex compagni di college, che da sempre sono stati vicini l'uno all'altro. Si sono trasferiti nella metropoli da una cittadina del New England, e all'inizio sono sostenuti solo dalla loro amicizia e dall'ambizione. Willem, che vuole fare l'attore. JB insegue il successo nel mondo dell'arte. Malcolm è un architetto frustrato in uno studio prestigioso. Jude, avvocato brillante e di enigmatica riservatezza, è il loro centro di gravità. Nei suoi riguardi l'affetto e la solidarietà prendono una piega differente, per lui i ragazzi hanno una cura particolare, una sensibilità speciale e tormentata, perché la sua vita sempre oscilla tra la luce del riscatto e il baratro dell'autodistruzione. Jude infatti nasconde un passato terribile da cui non riesce a fuggire. Una vita come tante è un romanzo sontuoso di oltre mille pagine potentissimo, a volte esagerato che parla di uomini ma è scritto da una donna. Notevole.
3 – Eravamo dei grandissimi di Clemens Meyer. Daniel, Mark, Paul e Rico sono cresciuti come "pionieri" nella Germania dell'Est. Sono gli ultimi anni prima della caduta del Muro e sogni e illusioni sono amplificati dal mito dell'Ovest a portata di mano. Con la riunificazione delle due Germanie anche la loro vita cambia trasformandosi in una folle corsa fatta di furti d'auto, alcol, paura e rabbia. Paragonato a Trainspotting, Eravamo dei grandissimi si sviluppa su più piani temporali mostrando le conseguenze delle scelte sbagliate. Grandioso romanzo mitteleuropeo.
2 – La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo. Israele. Quattro amici guardano in televisione la finale dei Mondiali di calcio del 1998. Non hanno ancora trent'anni, e hanno condiviso la giovinezza, gli studi, l'esercito, le avventure, i sogni e le difficoltà, le speranze e gli amori. Yuval, il narratore, ha un animo buono e una spartana educazione anglosassone; Churchill è un egoista irresponsabile ma trascinante, ed è il fondatore della loro gang dai tempi del liceo. Ofir vive di parole e brucia ogni giorno la sua creatività in un ufficio pubblicitario. Amichai vende polizze mediche ai malati di cuore, è già sposato e ha due figlie. Durante la partita, Amichai ha un'idea: perché non scrivere su un foglietto i propri desideri, i sogni per gli anni a venire, per poi attendere la prossima finale della coppa del mondo e vedere se si sono realizzati? In tutte le cose c’è sempre un prima e un dopo, e in mezzo il tempo che scorre. La simmetria dei desideri è un romanzo che sfiora la perfezione.
1 – Colla di Irvine Welsh. Quattro ragazzi crescono insieme in uno squallido ghetto di Edimburgo. Sono Billy, Carl, Andrew e Terry, i protagonisti di questo libro. Insieme condividono le prime esperienze che contano: le pestate con gli hooligans, le sbornie violente, il sesso cattivo e la droga. Insieme crescono: Billy diventa un pugile; Carl un dj strafatto e famosissimo; Andrew un tossico sposato con Gail, ninfomane che lo pianterà; Terry un alcolizzato ossessionato dal sesso. Il loro mondo è tutto ai margini ma è anche un mondo in cui l'amicizia è l'unico legame, l'unica colla che tiene uniti anche i peggiori bastardi. Qual è il valore dell’amicizia quando non si ha nient’altro? Capolavoro assoluto di Welsh. Una bomba.

martedì 16 maggio 2017

Film - Scappa - Get Out (2017) di Jordan Peele



Il giovane ragazzo di colore Chris (Daniel Kaluuya), assieme alla sua ragazza Rose (Allison Williams), si prepara per trascorrere un weekend a casa dei genitori di lei. Rose non ha informato la famiglia del colore della pelle di Chris, ma assicura che questo non causerà alcun problema. Giunto nel quartiere del padre e della madre di Rose, Chris si accorge di essere, a parte i domestici della famiglia, l’unica persona nera. Nonostante l’accoglienza calorosa della famiglia, Chris continua a percepire alcune stranezze nell’ambiente. La sua etnia, infatti, lo trascinerà in terribile incubo.
Scappa – Get Out, è il brillante esordio alla regia di Jordan Peele, ennesimo prodotto del vivaio della casa di produzione Blumhouse (tra gli altri Paranormal Activity, Insidious e Whiplash). Peele, anche sceneggiatore della pellicola, ha dichiarato di essersi ispirato fortemente a La notte dei morti viventi, cult assoluto di George Romero del 1968. E in effetti, in Scappa, come nel film di Romero, la violenza esplode in un contesto radicalmente politicizzato. Mentre con La notte dei morti viventi l’epoca era quella della guerra in Vietnam, con sogno americano e mito del self-made man che venivano distrutti dalla violenza sullo schermo che mostrava le profonde contraddizioni del Paese, in Scappa il contesto è quello presente, sconvolto da un razzismo imperante che prende forma, nel film e nella realtà, attraverso diverse fobie e paranoie.
Con Scappa, la riflessione sulle contraddizioni del Paese abbraccia il genere orrorifico e si allontana da biopic e drammoni che hanno contraddistinto la scorsa stagione cinematografica (per intenderci, gli Oscar so black). Scappa è un thriller dai connotati horror, e a differenza di un film qualunque di Spike Lee – regista che più di tutti con il proprio lavoro continua a ribadire l’esistenza a Hollywood di un cinema prettamente black – mostra, con un sottile humour e con tanta suspense, il livello di paranoia degli Stati Uniti di oggi. E lo fa senza alcun fastidioso e inutile didascalismo: Peele lavora fin dall’inizio del film per simboli,  adotta soluzioni formali che stupiscono per la semplicità e l’originalità. Il regista si muove all’interno di mondi più volte esplorati dagli anni Settanta a questa parte, ma lo fa senza scopiazzare a destra e a manca. Il suo film non è il doppione di nulla e rimane in piedi dal primo all’ultimo minuto. Anzi, meriterebbe pure una seconda visione per cogliere la profondità satirica di certi passaggi.