Il giovane ragazzo di colore Chris
(Daniel Kaluuya), assieme alla sua ragazza Rose (Allison Williams), si prepara
per trascorrere un weekend a casa dei genitori di lei. Rose non ha informato la
famiglia del colore della pelle di Chris, ma assicura che questo non causerà
alcun problema. Giunto nel quartiere del padre e della madre di Rose, Chris si
accorge di essere, a parte i domestici della famiglia, l’unica persona nera.
Nonostante l’accoglienza calorosa della famiglia, Chris continua a percepire
alcune stranezze nell’ambiente. La sua etnia, infatti, lo trascinerà in
terribile incubo.
Scappa – Get Out, è il brillante esordio alla regia di Jordan
Peele, ennesimo prodotto del vivaio della casa di produzione Blumhouse (tra gli
altri Paranormal Activity, Insidious e Whiplash). Peele, anche sceneggiatore della pellicola, ha
dichiarato di essersi ispirato fortemente a La
notte dei morti viventi, cult assoluto di George Romero del 1968. E in
effetti, in Scappa, come nel film di
Romero, la violenza esplode in un contesto radicalmente politicizzato. Mentre con
La notte dei morti viventi l’epoca
era quella della guerra in Vietnam, con sogno americano e mito del self-made man che venivano distrutti
dalla violenza sullo schermo che mostrava le profonde contraddizioni del Paese,
in Scappa il contesto è quello presente,
sconvolto da un razzismo imperante che prende forma, nel film e nella realtà,
attraverso diverse fobie e paranoie.
Con Scappa, la riflessione sulle
contraddizioni del Paese abbraccia il genere orrorifico e si allontana da biopic e drammoni che hanno contraddistinto
la scorsa stagione cinematografica (per intenderci, gli Oscar so black). Scappa è un thriller dai connotati horror, e a differenza di un
film qualunque di Spike Lee – regista che più di tutti con il proprio lavoro
continua a ribadire l’esistenza a Hollywood di un cinema prettamente black – mostra, con un sottile humour e
con tanta suspense, il livello di paranoia degli Stati Uniti di oggi. E lo fa
senza alcun fastidioso e inutile didascalismo: Peele lavora fin dall’inizio del
film per simboli, adotta soluzioni
formali che stupiscono per la semplicità e l’originalità. Il regista si muove
all’interno di mondi più volte esplorati dagli anni Settanta a questa parte, ma
lo fa senza scopiazzare a destra e a manca. Il suo film non è il doppione di
nulla e rimane in piedi dal primo all’ultimo minuto. Anzi, meriterebbe pure una
seconda visione per cogliere la profondità satirica di certi passaggi.
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