martedì 4 aprile 2017

Film - Life - Non oltrepassare il limite (2017) di Daniel Espinosa



Una squadra di astronauti riesce a prelevare un campione organico da Marte. Uno dei membri dell’equipaggio espone la cellula a stimoli esterni e l’essere, soprannominato Calvin, risponde gli impulsi. L’essere vivente però non è innocuo; cresce e soprattutto se disturbato dimostra di essere in grado di uccidere. Calvin diventa così una minaccia per l’equipaggio, la cui missione diventa quella di tenerlo lontano dalla Terra.
Life – Non oltrepassare il limite è un esempio di come la più classica fantascienza sia ancora viva e vegeta al cinema. Il regista Daniel Espinosa porta sullo schermo il canonico scontro fra terrestri e invasori alieni. Life si dimostra un buon film di puro intrattenimento; si allontana dai percorsi intellettuali e filosofici intrapresi negli ultimi anni dal genere con prodotti quali Interstellar, Arrival e la serie tv Westworld, per ricercare invece il divertimento del suo pubblico. Espinosa ha l’accortezza di non voler strafare: il suo Life si prende per quello che è, ossia un film che pone, senza calcare la mano, dilemmi etici e morali, e che spinge invece sulla suspense tipica di uno space movie in cui spiccano una roboante colonna sonora e un’abilità del regista nell’uso della macchina da presa che fluttua per tutta la durata del film all’interno della navicella.
Espinosa vince scegliendo di non prendersi sul serio fino in fondo senza però rinunciare al rigore tecnico, scientifico e filmico. Vince nello sfruttare l’enorme budget a disposizione e vince nella costruzione del suo team, una squadra composta da  alcune star di Hollywood quali Ryan Reynolds, Jake Gyllenhaal e Rebecca Ferguson. È il film adatto per staccare la spina, per distrarsi e per evadere: in questo senso Life si allinea all’horror più commerciale. Puro intrattenimento, shock prorompente e adrenalina a fiumi. Non è un film perfetto, intendiamoci, ma il finale a metà fra Jumanji e un paranoid horror è veramente azzeccato.

lunedì 3 aprile 2017

Libro - Nelle mani giuste di Giancarlo De Cataldo



È l’Italia tra il 1992 e il 1993. Il Muro di Berlino è caduto e il mondo non è più diviso in due blocchi. Mentre Il Psi e la Dc stanno affondando, il Pci vede uno spiraglio per arrivare al governo. Intanto però Totò Riina è stato catturato, e la mafia ha dichiarato guerra allo stato. È la prima Repubblica che giunge al capolinea, distrutta dalla criminalità organizzata, dalle stragi e da Mani Pulite. In questo contesto apocalittico si muovono il commissario Scialoja, corrotto e involontario erede del Vecchio di Romanzo Criminale, Stalin Rossetti, ex comandante di una cellula deviata dei servizi segreti che stringe rapporti con la mafia, e Ilio Donatoni, industriale di successo il cui impero è sporcato dalla criminalità organizzata.
L’Italia non era finita con la morte del Dandi e con l’arresto degli altri componenti della banda della Magliana. Le vicende raccontate in Romanzo Criminale sono solo un tassello della torbida storia italiana dal dopoguerra a oggi; una storia fatta di attentati, di servizi segreti deviati, di cospirazioni, di losche trattative e ovviamente di sangue.
Nelle mani giuste, scritto da Giancarlo De Cataldo a 5 anni di distanza da Romanzo Criminale del quale si dichiara ideale sequel, cerca di far luce su un biennio nerissimo della nostra storia recente. Lo scrittore ricostruisce la stagione delle stragi, delle trattative fra Stato e mafia e di Tangentopoli, richiamando in campo alcuni dei personaggi già presenti in Romanzo Criminale. Ritroviamo quindi il commissario Scialoja e la sua amante Cinzia Vallesi, in arte Patrizia. È un noir perfetto Nelle mani giuste: è perfetto per come prende le distanze dal suo predecessore, rinunciando a quel romanticismo che circondava personaggi come il Dandi e il Libanese; è perfetto per come architetta una trama complessa e frammentata in quattro distinti filoni che inesorabilmente si incontrano nel finale. È perfetto, infine, per come De Cataldo sa mixare personaggi storici realmente esistiti e characters di pura finzione, eventi veramente accaduti e fatti completamente inventati. De Cataldo rimane in bilico tra la fantasia, l’intrattenimento e il rigore storico, ricordando in alcuni passaggi il miglior Ellroy. In Nelle mani giuste nessuno è innocente in un’Italia nera e marcia. Lo scrittore oltre che attento alla correttezza storica, sviluppa la sua trama partendo dalla costruzione psicologica dei personaggi. Sono L’uso della suspense, la figura della femme fatale e dei gendarmi corrotti i mezzi con cui De Cataldo aderisce pienamente al genere noir, un genere che, probabilmente proprio per la storia del nostro Paese, si etichetta come puramente italiano e che trova proprio nello scrittore tarantino il suo miglior esponente.

domenica 2 aprile 2017

Top 7 - I migliori puzzle movie



La Top 7 di questa settimana la vogliamo dedicare ai puzzle movie, categoria di film che necessita di una definizione. Definiamo puzzle movie o film rompicapo quelle pellicole dalle trame estremamente contorte, dai finali più che enigmatici e che molto spesso richiedono ripetute visioni per cogliere a fondo il significato anche più superficiale. Se riusciti, sono film tremendamente accattivanti, in grado di esaltare le doti del regista, dello sceneggiatore e degli attori. Oggi re indiscusso in questa categoria  è certamente Christopher Nolan, che nei suoi film si diverte sempre a far impazzire il suo pubblico (oltre che i suoi personaggi).
Non ci stancheremo mai di dire che è una classifica che per forza di cose esclude diversi ottimi film. Scegliere sette prodotti non è mai facile.
7 – L’uomo senza sonno (2004) di Brad Anderson. L’operaio di fabbrica Trevor non riesce a dormire per un imprecisato shock e l’insonnia comincia a impossessarsi di lui. Allucinazioni, paranoia e immaginazione lo porteranno vicino alla pazzia. Probabilmente siamo di fronte al miglior Christian Bale, pallido e scheletrico con 25 chili in meno. Da urlo.
6 – Mulholland Drive (2000) di David Lynch. Probabilmente è già stato detto tutto su questo capolavoro che qui all’Ignorante non abbiamo ancora compreso a fondo. Anche per questo Mulholland Drive si trova “solo” al sesto posto della nostra graduatoria. Rita è una mora in stato di amnesia sopravvissuta a un incidente stradale. Betty è una bionda che cerca di accudirla cercando di farle tornare la memoria. Tra i due c’è pure un certo feeling sessuale, ma ovviamente niente è come sembra. Film da scervellarsi.
5 – Source Code (2011) di Duncan Jones. Colter Stevens, pilota di aerei e veterano di guerra, si risveglia su un treno di fronte a una bella donna che lo conosce. Lui però non ricorda nulla. Poi c’è un’esplosione e il treno sparisce. Colter però non è morto: una donna lo informa che dovrà ritornare sul treno per evitare un attentato più grosso. Ogni volta avrà 8 minuti di tempo. Il figlio di David Bowie si diverte a giocare con i loop temporali… e a strapazzare lo spettatore.
4 – Inception (2010) di Christopher Nolan. Dom Cobb è un uomo in grado di inserirsi nei sogni delle persone ed estrapolarne i contenuti. Viene contattato da Saito, un industriale, che gli chiede di fare la cosa opposta. Cercare di inserirsi nei sogni per instillare pensieri e ricordi. Mondo dei sogni, memoria, psiche e Christopher Nolan sono la ricetta perfetta per un ottimo puzzle movie. Il film è di qualche anno fa, ma sul finale la discussione è ancora aperta.
3 – Shutter Island (2010) di Martin Scorsese. Nel 1954 Teddy Daniels e Chuck Aule, due agenti federali vengono inviati a Shutter Island per investigare sulla scomparsa di una pericolosa infanticida residente presso un istituto per malati di mente. Fin da subito l’indagine sembra complicata e Daniels, che comincia a sospettare del dottor Crawley, l’uomo a capo dell’ospedale, inizia a essere vittima di visioni della moglie defunta e della sua esperienza come soldato in guerra. Shutter Island è un tunnel mentale di ottima fattura; Scorsese è sicuramente una garanzia.
2 – Predestination (2014) di Michael e Peter Spierig. Ecco il film che non ti aspetti, un piccolo gioiello passato troppo alla svelta in Italia. Un agente utilizza i viaggi nel tempo per dare la caccia a un terrorista. I molti viaggi che compie lo portano a incontrare molte persone che riesce a reclutare nella sua crociata, ma soprattutto lo conducono a uno stato di estrema confusione. Come una mente umana possa concepire una trama così contorta e incastrata alla perfezione dovrebbe essere argomento di studio nelle più elevate università del globo. Film strabiliante.
1 – Memento (2000) di Christopher Nolan. Un giovane e semi sconosciuto Nolan riesce a scrivere e dirigere un capolavoro, un cult coi fiocchi che si merita la prima piazza nella nostra top 7. Leonard Shelby è affetto da una particolare forma di amnesia, che lascia intatti i vecchi ricordi ma distrugge la memoria a breve termine. Attraverso un'affannosa ricerca compiuta per mezzo di post-it e tatuaggi, Shelby cerca l'assassino della moglie, l'ultimo ricordo che "non riesce a ricordare di dimenticare", in una labirintica realtà continuamente azzerata e in cui non si può mai pronunciare l'ultima parola. A vincere in Memento, però è il montaggio: fabula e intreccio vengono presi a pugni dal regista che scherza con la linearità temporale e anche con la sanità mentale del pubblico. Capolavoro assoluto.

sabato 1 aprile 2017

Film - Kill Your Friends (2015) di Owen Harris



Sono gli anni Novanta e in Gran Bretagna impazza il britpop. Dietro le quinte di questo fenomeno musicale si muovono manager, produttori, talent scout e opportunisti alla ricerca sfrenata del talento da trasformare in denaro. Tra questi c’è anche Steven Stelfox (Nicholas Hoult), scopritore di stelline, uomo dall’ego smisurato pari solo al suo intuito per il successo. È un decennio infuocato per le case discografiche e a vincere è chi arriva primo. E così quando Steven sta per essere spodestato dal suo amico, ma anche rivale, Waters (James Corden), non esita a sporcarsi le mani di sangue, piombando ovviamente in un mare di guai.
Prima ancora di essere un film, Kill Your Friends è un romanzo del 2008 di John Niven, tradotto in sette lingue (ma non in italiano) e diventato un caso editoriale in Gran Bretagna, dove è stato paragonato a Trainspotting. Effettivamente la penna di Niven è simile a quella di Irvine Welsh, sboccata e maledettamente cruda. A volte ritorno e Maschio bianco etero sono intrisi di quello stesso nichilismo e quella stessa amoralità presenti in Porno e in Il lercio (tanto per fare due esempi) di Welsh.
Insomma, la base di partenza era sicuramente buona, ma il film Kill Your Friends, diretto da Owen Harris, mestierante del mondo televisivo, non raggiunge la sufficienza. Il film di Harris assomiglia a molte cose, forse troppe, e l’unico risultato che ottiene è quello di palesarsi come inferiore ai suoi simili. Per tutta la durata del film si ha la sensazione di essere all’interno di 24 Hour Party People, mentre il personaggio interpretato da Nicholas Hoult rimane a metà tra il Patrick Bateman di American Psycho e l’Hank Moody di Californication.  Siamo nella più totale assenza di originalità in un film che nei dialoghi, scritti dallo stesso Niven, ricalca quella vena pulp di tarantiniana matrice e scimmiotta situazioni dell’intoccabile Trainspotting (nell’elencazione delle droghe, ad esempio) e del meno noto Human Traffic.
È una trama confusa, che si accartoccia presto su se stessa: in un libro può essere  messa facilmente in secondo piano da tante altre cose, ma sullo schermo deve rimanere la cosa più importante. Si salva solo la colonna sonora in questo film mai distribuito in Italia, ma d’altronde ci voleva poco: avete presente quanta musica è uscita in Gran Bretagna negli anni Novanta?

venerdì 31 marzo 2017

Film - 17 anni (e come uscirne vivi) (2016) di Kelly Fremon Craig



La liceale Nadine (Hailee Steinfeld) scopre che la sua migliore amica Krista (Haley Lu Richardson) ha una relazione con suo fratello maggiore Darian (Blake Jenner) che in breve tempo distrugge il legame tra le due amiche. Nadine piomba così in una inesorabile solitudine. A risollevarla dalla triste situazione ci penseranno Mr. Bruner (Woody Harrelson), un suo professore, e Erwin (Hayden Szeto), suo compagno di scuola.
17 anni (e come uscirne vivi), regia di Kelly Fremon Craig, è l’ennesimo esempio di cinema destinato a un pubblico prettamente giovanile, perlopiù liceale. E come tale non riesce ad abbandonare sentieri già tracciati. 17 anni è una serie di situazioni, luoghi e addirittura dialoghi visti e stravisti. Non manca proprio nulla: i corridoi scolastici con gli armadietti, il ragazzo-immagine del liceo, bello e sportivo. C’è il concorso scolastico, un insegnante comprensivo e la pausa per la mensa.
E soprattutto c’è il personaggio di Nadine. Il personaggio che riduce a meri stereotipi i licei di tutta America ha il volto di Hailee Steinfeld, attrice nota, che di anni però ne ha 20. Nadine è ovviamente più intelligente e più acuta dei suoi compagni, ma altrettanto ovviamente è triste, sola e depressa. Una solitudine mascherata da un velo di ironia che vorrebbe elevare il film a uno status maggiore, da commedia sofisticata ideale per un festival indie.
Ma è tutto troppo già visto. La regista (anche sceneggiatrice) commette il solito errore di comprimere il processo di crescita di un’adolescente, processo lungo, tortuoso, ma soprattutto delicato, in una serie di esperienze stereotipate per una durata complessiva di un anno scolastico. 17 anni è un film ambizioso che però non restituisce allo spettatore il valore del tempo, espediente necessario per potersi distinguere in un genere sempre in fermento (con le dovute proporzioni un esempio può essere Boyhood, un capolavoro), ma che non riesce a produrre prodotti che non siano uno la copia carbone dell’altro. 17 anni rimane soprattutto un esempio di cinema da high school che rasenta la sufficienza senza riuscire però a coinvolgere un pubblico più ampio, rimanendo settato sulla categoria teenagers.