1961. Le afroamericane Katherine
Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughan (Ocatvia Spencer) e Mary Jackson
(Janelle Monáe) lavorano per la NASA. Nonostante là difficoltà di lavorare in
una nazione ampiamente razzista, in un ambiente prettamente maschile, i loro
calcoli e la loro dedizione alla causa, porteranno l’astronauta John Glenn a
risucire nell’impresa di realizzare un’intera orbita attorno alla Terra.
Le Hidden Figures del titolo originale, da noi tradotto barbaramente
con Il diritto di contare, sono
proprio le tre donne protagoniste della pellicola, la seconda dopo St. Vincent
del 2014 per il regista Theodore Melfi. Hidden
figures, figure nascoste e sconosciute lo sono state per troppo tempo all’interno
della NASA che solo recentemente ha permesso all’opinione pubblica, grazie a una
serie di premi, medaglie e mea culpa, un giusto riconoscimento al merito di
queste tre geniali donne.
Siamo nella Virginia del 1961. Lo
Stato non ha ancora abolito la segregazione razziale: neri e bianchi non
possono vivere assieme; sugli autobus, nei locali pubblici, sul posto di lavoro
bianchi e neri devono sempre essere separati; la NASA non fa eccezione.
In un’epoca a loro così ostile, Katherine,
Dorothy e Mary hanno avuto il doppio merito di lottare e distinguersi in un
luogo fortemente razzista e soprattutto in un ambiente decisamente maschile e
maschilista.
Il diritto di contare è la vera storia della battaglia per i
diritti civili che si coniuga a quell’emancipazione femminile voluta e ottenuta
dalle tre protagoniste. Una storia talmente bella per come la realtà l’ha
voluta scrivere, che il regista Melfi saggiamente ha deciso di eliminare ogni
tipo di retorica o di eccesso di moralità. Melfi mostra semplicemente le
difficoltà quotidiane vissute dalle donne (ma anche dagli uomini) di colore di
uno stato americano dei primi anni Sessanta, lasciando al pubblico la libertà di
riflessione.
Siamo davanti all’ennesima
pellicola, l’ennesimo esempio di come Hollywood si diverta a prendere a
schiaffi le facce più becere della storia contemporanea americana, cercando di
creare una connessione temporale passato-presente per permettere anche allo
spettatore più ingenuo, di riflettere, imparare e desiderare una realtà più
equa, che non faccia distinzioni per il colore della pelle, per etnia, per
cultura, ma che premi sempre e comunque il merito della persona, uomo o donna
che sia.
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