A vent’anni dalla fuga, Mark
Renton (Ewan McGregor) torna a Leith, quartieraccio di Edimburgo per ritrovare
i vecchi amici a cui aveva sottratto 16.000 sterline: Begbie (Robert Carlyle) è
in carcere e medita l’evasione, Spud (Ewen Bremner) è ancora in preda a una
feroce tossicodipendenza e pensa al suicidio, Sick Boy (Jonny Lee Miller) gestisce un pub,
coltiva marijuana e estorce denaro alle persone insieme a Veronika (Anjela
Nedjalkova), sua compagna. E mentre Begbie vorrebbe uccidere Renton, Sick Boy
propone all’amico che 20 anni prima li aveva traditi, di mettere in piedi un
bordello di lusso.
T2 Trainspotting è il sequel del cult del 1996 di Danny
Boyle. L’universo in cui si muovono Renton, Sick Boy e tutti gli altri è stato
creato dallo scrittore Irvine Welsh, che oltre a Trainspotting (1993) ha scritto il prequel Skagboys (2012), il sequel Porno
(2002) e una sorta di spin-off dedicato a Begbie intitolato L’artista del coltello (2016).
È bene fare questa precisazione perché
T2 non è la riproposizione
cinematografica di Porno, ma è un film che prende altre strade slegandosi
dall’universo letterario di Welsh, comunque presente in T2 nel parte del criminale Mikey Forrester (ruolo già suo nel film
del 1996).
T2 è un film
che riparte da 20 anni fa. È una pellicola ampiamente intrisa di nostalgia; una
nostalgia semplice, rimpianto malinconico di quanto è trascorso. Boyle accenna
appena un richiamo al passato come strumento di riflessione sulla condizione
presente. Il regista preferisce giocare sulle sequenze più celebri del film del
1996, dare importanza alla colonna sonora (la lisergica Born Slippy degli Underworld è distorta in remix e utilizzata come
vero e proprio leit motiv) e sfidare lo spettatore con un gioco di citazioni e
rimandi. C’è molta coerenza con il primo film, una coerenza però solamente
formale. Renton, Begbie, Spud e Sick Boy hanno vent’anni in più, ma questo non
si nota: il collegamento fra i due film, a livello contenutistico, è
inesistente. C’è troppa distanza, uno spazio reso incolmabile dalla debolezza
di T2. Se Trainspotting prendeva a cannonate la società britannica degli anni
Novanta rivoluzionando il modo di fare un certo cinema di denuncia tipicamente
inglese, il sequel risulta piuttosto debole, scarico: siamo in presenza di una,
comunque ottima e godibile, commedia a tinte pulp, un film di puro
intrattenimento in cui l’odio, il lercio e la putrefazione del primo film sono
sostituiti da colori brillanti, parchi giochi dall’erba curatissima e da negozi
dalle insegne sfavillanti, simbolo di un consumismo che il primo film aveva
fatto a pezzi.