domenica 2 aprile 2017

Top 7 - I migliori puzzle movie



La Top 7 di questa settimana la vogliamo dedicare ai puzzle movie, categoria di film che necessita di una definizione. Definiamo puzzle movie o film rompicapo quelle pellicole dalle trame estremamente contorte, dai finali più che enigmatici e che molto spesso richiedono ripetute visioni per cogliere a fondo il significato anche più superficiale. Se riusciti, sono film tremendamente accattivanti, in grado di esaltare le doti del regista, dello sceneggiatore e degli attori. Oggi re indiscusso in questa categoria  è certamente Christopher Nolan, che nei suoi film si diverte sempre a far impazzire il suo pubblico (oltre che i suoi personaggi).
Non ci stancheremo mai di dire che è una classifica che per forza di cose esclude diversi ottimi film. Scegliere sette prodotti non è mai facile.
7 – L’uomo senza sonno (2004) di Brad Anderson. L’operaio di fabbrica Trevor non riesce a dormire per un imprecisato shock e l’insonnia comincia a impossessarsi di lui. Allucinazioni, paranoia e immaginazione lo porteranno vicino alla pazzia. Probabilmente siamo di fronte al miglior Christian Bale, pallido e scheletrico con 25 chili in meno. Da urlo.
6 – Mulholland Drive (2000) di David Lynch. Probabilmente è già stato detto tutto su questo capolavoro che qui all’Ignorante non abbiamo ancora compreso a fondo. Anche per questo Mulholland Drive si trova “solo” al sesto posto della nostra graduatoria. Rita è una mora in stato di amnesia sopravvissuta a un incidente stradale. Betty è una bionda che cerca di accudirla cercando di farle tornare la memoria. Tra i due c’è pure un certo feeling sessuale, ma ovviamente niente è come sembra. Film da scervellarsi.
5 – Source Code (2011) di Duncan Jones. Colter Stevens, pilota di aerei e veterano di guerra, si risveglia su un treno di fronte a una bella donna che lo conosce. Lui però non ricorda nulla. Poi c’è un’esplosione e il treno sparisce. Colter però non è morto: una donna lo informa che dovrà ritornare sul treno per evitare un attentato più grosso. Ogni volta avrà 8 minuti di tempo. Il figlio di David Bowie si diverte a giocare con i loop temporali… e a strapazzare lo spettatore.
4 – Inception (2010) di Christopher Nolan. Dom Cobb è un uomo in grado di inserirsi nei sogni delle persone ed estrapolarne i contenuti. Viene contattato da Saito, un industriale, che gli chiede di fare la cosa opposta. Cercare di inserirsi nei sogni per instillare pensieri e ricordi. Mondo dei sogni, memoria, psiche e Christopher Nolan sono la ricetta perfetta per un ottimo puzzle movie. Il film è di qualche anno fa, ma sul finale la discussione è ancora aperta.
3 – Shutter Island (2010) di Martin Scorsese. Nel 1954 Teddy Daniels e Chuck Aule, due agenti federali vengono inviati a Shutter Island per investigare sulla scomparsa di una pericolosa infanticida residente presso un istituto per malati di mente. Fin da subito l’indagine sembra complicata e Daniels, che comincia a sospettare del dottor Crawley, l’uomo a capo dell’ospedale, inizia a essere vittima di visioni della moglie defunta e della sua esperienza come soldato in guerra. Shutter Island è un tunnel mentale di ottima fattura; Scorsese è sicuramente una garanzia.
2 – Predestination (2014) di Michael e Peter Spierig. Ecco il film che non ti aspetti, un piccolo gioiello passato troppo alla svelta in Italia. Un agente utilizza i viaggi nel tempo per dare la caccia a un terrorista. I molti viaggi che compie lo portano a incontrare molte persone che riesce a reclutare nella sua crociata, ma soprattutto lo conducono a uno stato di estrema confusione. Come una mente umana possa concepire una trama così contorta e incastrata alla perfezione dovrebbe essere argomento di studio nelle più elevate università del globo. Film strabiliante.
1 – Memento (2000) di Christopher Nolan. Un giovane e semi sconosciuto Nolan riesce a scrivere e dirigere un capolavoro, un cult coi fiocchi che si merita la prima piazza nella nostra top 7. Leonard Shelby è affetto da una particolare forma di amnesia, che lascia intatti i vecchi ricordi ma distrugge la memoria a breve termine. Attraverso un'affannosa ricerca compiuta per mezzo di post-it e tatuaggi, Shelby cerca l'assassino della moglie, l'ultimo ricordo che "non riesce a ricordare di dimenticare", in una labirintica realtà continuamente azzerata e in cui non si può mai pronunciare l'ultima parola. A vincere in Memento, però è il montaggio: fabula e intreccio vengono presi a pugni dal regista che scherza con la linearità temporale e anche con la sanità mentale del pubblico. Capolavoro assoluto.

sabato 1 aprile 2017

Film - Kill Your Friends (2015) di Owen Harris



Sono gli anni Novanta e in Gran Bretagna impazza il britpop. Dietro le quinte di questo fenomeno musicale si muovono manager, produttori, talent scout e opportunisti alla ricerca sfrenata del talento da trasformare in denaro. Tra questi c’è anche Steven Stelfox (Nicholas Hoult), scopritore di stelline, uomo dall’ego smisurato pari solo al suo intuito per il successo. È un decennio infuocato per le case discografiche e a vincere è chi arriva primo. E così quando Steven sta per essere spodestato dal suo amico, ma anche rivale, Waters (James Corden), non esita a sporcarsi le mani di sangue, piombando ovviamente in un mare di guai.
Prima ancora di essere un film, Kill Your Friends è un romanzo del 2008 di John Niven, tradotto in sette lingue (ma non in italiano) e diventato un caso editoriale in Gran Bretagna, dove è stato paragonato a Trainspotting. Effettivamente la penna di Niven è simile a quella di Irvine Welsh, sboccata e maledettamente cruda. A volte ritorno e Maschio bianco etero sono intrisi di quello stesso nichilismo e quella stessa amoralità presenti in Porno e in Il lercio (tanto per fare due esempi) di Welsh.
Insomma, la base di partenza era sicuramente buona, ma il film Kill Your Friends, diretto da Owen Harris, mestierante del mondo televisivo, non raggiunge la sufficienza. Il film di Harris assomiglia a molte cose, forse troppe, e l’unico risultato che ottiene è quello di palesarsi come inferiore ai suoi simili. Per tutta la durata del film si ha la sensazione di essere all’interno di 24 Hour Party People, mentre il personaggio interpretato da Nicholas Hoult rimane a metà tra il Patrick Bateman di American Psycho e l’Hank Moody di Californication.  Siamo nella più totale assenza di originalità in un film che nei dialoghi, scritti dallo stesso Niven, ricalca quella vena pulp di tarantiniana matrice e scimmiotta situazioni dell’intoccabile Trainspotting (nell’elencazione delle droghe, ad esempio) e del meno noto Human Traffic.
È una trama confusa, che si accartoccia presto su se stessa: in un libro può essere  messa facilmente in secondo piano da tante altre cose, ma sullo schermo deve rimanere la cosa più importante. Si salva solo la colonna sonora in questo film mai distribuito in Italia, ma d’altronde ci voleva poco: avete presente quanta musica è uscita in Gran Bretagna negli anni Novanta?

venerdì 31 marzo 2017

Film - 17 anni (e come uscirne vivi) (2016) di Kelly Fremon Craig



La liceale Nadine (Hailee Steinfeld) scopre che la sua migliore amica Krista (Haley Lu Richardson) ha una relazione con suo fratello maggiore Darian (Blake Jenner) che in breve tempo distrugge il legame tra le due amiche. Nadine piomba così in una inesorabile solitudine. A risollevarla dalla triste situazione ci penseranno Mr. Bruner (Woody Harrelson), un suo professore, e Erwin (Hayden Szeto), suo compagno di scuola.
17 anni (e come uscirne vivi), regia di Kelly Fremon Craig, è l’ennesimo esempio di cinema destinato a un pubblico prettamente giovanile, perlopiù liceale. E come tale non riesce ad abbandonare sentieri già tracciati. 17 anni è una serie di situazioni, luoghi e addirittura dialoghi visti e stravisti. Non manca proprio nulla: i corridoi scolastici con gli armadietti, il ragazzo-immagine del liceo, bello e sportivo. C’è il concorso scolastico, un insegnante comprensivo e la pausa per la mensa.
E soprattutto c’è il personaggio di Nadine. Il personaggio che riduce a meri stereotipi i licei di tutta America ha il volto di Hailee Steinfeld, attrice nota, che di anni però ne ha 20. Nadine è ovviamente più intelligente e più acuta dei suoi compagni, ma altrettanto ovviamente è triste, sola e depressa. Una solitudine mascherata da un velo di ironia che vorrebbe elevare il film a uno status maggiore, da commedia sofisticata ideale per un festival indie.
Ma è tutto troppo già visto. La regista (anche sceneggiatrice) commette il solito errore di comprimere il processo di crescita di un’adolescente, processo lungo, tortuoso, ma soprattutto delicato, in una serie di esperienze stereotipate per una durata complessiva di un anno scolastico. 17 anni è un film ambizioso che però non restituisce allo spettatore il valore del tempo, espediente necessario per potersi distinguere in un genere sempre in fermento (con le dovute proporzioni un esempio può essere Boyhood, un capolavoro), ma che non riesce a produrre prodotti che non siano uno la copia carbone dell’altro. 17 anni rimane soprattutto un esempio di cinema da high school che rasenta la sufficienza senza riuscire però a coinvolgere un pubblico più ampio, rimanendo settato sulla categoria teenagers.

martedì 28 marzo 2017

Film - Rudderless (2014) di William H. Macy



Sam (Billy Crudrup) è un uomo realizzato. Felicemente sposato, con un figlio al college e con una buon lavoro, la sua vita scorre serenamente. Quando però il figlio muore in circostanze piuttosto tragiche, Sam piomba in una spirale autodistruttiva che lo porta al divorzio, alla perdita del lavoro e a un semi-alcolismo. Un giorno però Sam trova alcuni brani e testi del figlio e decide di suonarne uno in pubblico. La canzone ha successo e Sam decide di mettere in piedi una band musicale insieme a Quentin (Antony Yelchin) per ritrovare una ragione di vita.
Che bella sorpresa la prima regia di William H. Macy per il grande schermo. Rudderless è un piccolo capolavoro dal sapore indie, presentato al Sundance del 2014 e fugacemente passato nelle sale americane (in Italia è tutt’ora inedito). Rudderless racconta, in fin dei conti, una storia semplice, vista e rivista. È la storia di un padre che ama suo figlio e che si batte per mantenerne vivo il ricordo quando questi viene a mancare.  
ciò che contraddistingue Rudderless sono le scene musicali. William H. Macy, ricordando un po’ il John Carney di Tutto può cambiare, con un montaggio fluido regala allo spettatore la magia della composizione di un brano musicale in tutti i suoi passaggi. La creazione della musica è affidata a Ben Kweller, nome di spicco nell’indie americano degli ultimi vent’anni. Un professionista del palco, e dello strumento che si mette al servizio della macchina da presa è quasi una novità per il cinema e William H. Macy probabilmente centra il suo obiettivo: realizzare una pellicola totalmente indipendente dal cinema mainstream e soprattutto dalle classifiche di musica pop più adatte a film di Disney Channel che a un pubblico esigente. Realizza una pellicola tremendamente triste e seria, ma comunque intrisa di speranza, affidandosi a un cast di tutto rispetto composto, tra gli altri, da Laurence Fishburne, Felicity Huffmann e Selena Gomez.
Poche volte la macchina da presa a saputo intercettare così bene l’effetto di una chitarra su un palco. William H. Macy probabilmente avrebbe giovato ai fratelli Coen (con cui peraltro ha lavorato spesso) nella lavorazione di A proposito di Davis. Intendiamoci, non vogliamo paragonare le due pellicole; a che servirebbe? Però magari oggi potremmo parlare di due capolavori e non solo di uno.

lunedì 27 marzo 2017

Film - The Love Witch (2016) di Anna Biller



Elaine Parks (Samantha Robinson) è una strega alla ricerca dell’amore vero. Grazie alla sua bellezza riesce ad attirare gli uomini a sé e a costringerli a bere un misterioso intruglio. La pozione ha l’effetto di far cadere gli uomini ai piedi di Elaine e soprattutto di far perdere loro la virilità, ciò che invece Elaine cerca in un uomo.
The Love Witch è il classico film per addetti ai lavori. Un film sofisticato, girato in 35mm. Già a partire dalla locandina, The Love Witch guarda a quel cinema dell’orrore degli anni Sessanta, contaminato, e non poco, dall’allora appena nata sexploitation. I film della Hammer, un certo cinema  italiano degli anni Sessanta e soprattutto i film di Jess Franco sono tutti omaggiati da The Love Witch, scritto e diretto da Anna Biller. L’epoca del Technicolor è rievocata in maniera formale pressoché perfetta: la regista riesce a confondere il pubblico; lo spettatore non riesce a capire se la vicenda è ambientata ai giorni nostri o nel passato. Anna Biller non è nuova a questo tipo di cinema. Nel 2007 aveva diretto Viva, film ambientato nella Los Angeles degli anni Settanta e girato anch’esso in 35mm. Anche Viva mirava a omaggiare un certo cinema d’exploitation tanto caro a Russ Meyer.
The Love Witch, sopraffino esercizio di stile, è però una pellicola ambiziosa anche per contenuti. La Biller, che oltre a dirigere e scrivere, produce e mette mano ai costumi e alle musiche, lancia una riflessione sull’erotismo e soprattutto sul ruolo della donna all’interno dei meccanismi di coppia e, in maniera più ampia, all’interno della società. Il personaggio di Elaine è la personificazione di un forte narcisismo patologico, male poco conosciuto ma che può distruggere completamente un rapporto. Siamo insomma in presenza di tematiche importanti. Argomenti che però non trovano fondamenta su una trama ben costruita: il film ruota attorno a sequenze di sicuro impatto visivo, ma comunque ripetitive, e le due ore finali risultano essere un lungo trip per lo spettatore, che termina la visione frastornato dalla bellezza delle immagini e dalla vicenda, certamente più allegorica che reale.