martedì 28 marzo 2017

Film - Rudderless (2014) di William H. Macy



Sam (Billy Crudrup) è un uomo realizzato. Felicemente sposato, con un figlio al college e con una buon lavoro, la sua vita scorre serenamente. Quando però il figlio muore in circostanze piuttosto tragiche, Sam piomba in una spirale autodistruttiva che lo porta al divorzio, alla perdita del lavoro e a un semi-alcolismo. Un giorno però Sam trova alcuni brani e testi del figlio e decide di suonarne uno in pubblico. La canzone ha successo e Sam decide di mettere in piedi una band musicale insieme a Quentin (Antony Yelchin) per ritrovare una ragione di vita.
Che bella sorpresa la prima regia di William H. Macy per il grande schermo. Rudderless è un piccolo capolavoro dal sapore indie, presentato al Sundance del 2014 e fugacemente passato nelle sale americane (in Italia è tutt’ora inedito). Rudderless racconta, in fin dei conti, una storia semplice, vista e rivista. È la storia di un padre che ama suo figlio e che si batte per mantenerne vivo il ricordo quando questi viene a mancare.  
ciò che contraddistingue Rudderless sono le scene musicali. William H. Macy, ricordando un po’ il John Carney di Tutto può cambiare, con un montaggio fluido regala allo spettatore la magia della composizione di un brano musicale in tutti i suoi passaggi. La creazione della musica è affidata a Ben Kweller, nome di spicco nell’indie americano degli ultimi vent’anni. Un professionista del palco, e dello strumento che si mette al servizio della macchina da presa è quasi una novità per il cinema e William H. Macy probabilmente centra il suo obiettivo: realizzare una pellicola totalmente indipendente dal cinema mainstream e soprattutto dalle classifiche di musica pop più adatte a film di Disney Channel che a un pubblico esigente. Realizza una pellicola tremendamente triste e seria, ma comunque intrisa di speranza, affidandosi a un cast di tutto rispetto composto, tra gli altri, da Laurence Fishburne, Felicity Huffmann e Selena Gomez.
Poche volte la macchina da presa a saputo intercettare così bene l’effetto di una chitarra su un palco. William H. Macy probabilmente avrebbe giovato ai fratelli Coen (con cui peraltro ha lavorato spesso) nella lavorazione di A proposito di Davis. Intendiamoci, non vogliamo paragonare le due pellicole; a che servirebbe? Però magari oggi potremmo parlare di due capolavori e non solo di uno.

lunedì 27 marzo 2017

Film - The Love Witch (2016) di Anna Biller



Elaine Parks (Samantha Robinson) è una strega alla ricerca dell’amore vero. Grazie alla sua bellezza riesce ad attirare gli uomini a sé e a costringerli a bere un misterioso intruglio. La pozione ha l’effetto di far cadere gli uomini ai piedi di Elaine e soprattutto di far perdere loro la virilità, ciò che invece Elaine cerca in un uomo.
The Love Witch è il classico film per addetti ai lavori. Un film sofisticato, girato in 35mm. Già a partire dalla locandina, The Love Witch guarda a quel cinema dell’orrore degli anni Sessanta, contaminato, e non poco, dall’allora appena nata sexploitation. I film della Hammer, un certo cinema  italiano degli anni Sessanta e soprattutto i film di Jess Franco sono tutti omaggiati da The Love Witch, scritto e diretto da Anna Biller. L’epoca del Technicolor è rievocata in maniera formale pressoché perfetta: la regista riesce a confondere il pubblico; lo spettatore non riesce a capire se la vicenda è ambientata ai giorni nostri o nel passato. Anna Biller non è nuova a questo tipo di cinema. Nel 2007 aveva diretto Viva, film ambientato nella Los Angeles degli anni Settanta e girato anch’esso in 35mm. Anche Viva mirava a omaggiare un certo cinema d’exploitation tanto caro a Russ Meyer.
The Love Witch, sopraffino esercizio di stile, è però una pellicola ambiziosa anche per contenuti. La Biller, che oltre a dirigere e scrivere, produce e mette mano ai costumi e alle musiche, lancia una riflessione sull’erotismo e soprattutto sul ruolo della donna all’interno dei meccanismi di coppia e, in maniera più ampia, all’interno della società. Il personaggio di Elaine è la personificazione di un forte narcisismo patologico, male poco conosciuto ma che può distruggere completamente un rapporto. Siamo insomma in presenza di tematiche importanti. Argomenti che però non trovano fondamenta su una trama ben costruita: il film ruota attorno a sequenze di sicuro impatto visivo, ma comunque ripetitive, e le due ore finali risultano essere un lungo trip per lo spettatore, che termina la visione frastornato dalla bellezza delle immagini e dalla vicenda, certamente più allegorica che reale.

domenica 26 marzo 2017

Libri - Running Dog di Don DeLillo



Una serie di loschi individui è sulle tracce di un vecchio filmino amatoriale. Tra questi vi è un giovane magnate dell’industria pornografica, un funzionario governativo e il capo di un’agenzia governativa deviata. L’ambita pellicola, infatti, contiene la documentazione di un’orgia avvenuta nel bunker di Hitler pochi giorni prima della caduta del terzo Reich.
Running Dog, che nel romanzo è il nome della rivista per cui lavora la reporter Moll Robbins, anche lei sulle tracce del reperto, esce negli Stati Uniti nel 1978. È il sesto romanzo di Don DeLillo e il primo in cui cominciano a palesarsi le tematiche che caratterizzeranno gli scritti dell’autore americano. Running Dog è un breve romanzo, un concentrato in cui esplode la paranoia della società americano, quel complottismo che sarà centrale in Rumore bianco e Libra.
Ogni episodio raccontato da DeLillo ha la caratteristica di essere una metafora. Attraverso una serie di ambigui ed eccentrici personaggi alla ricerca di una reliquia proibita di epoca nazista, DeLillo mette a nudo il rapporto fra mezzi di comunicazione, organi di potere, sesso a attrazione per il proibito. Anticipando ciò che poi sarà sviscerato in Underworld e Libra, DeLillo devia dalla strada della storia ufficiale, quella raccontata dai libri di scuola, per battere vie più buie e meno conosciute, in cui a prevalere è la storia alternativa, gli inganni, le cospirazioni.
Running Dog è lungo solamente 260 pagine, ma è una perfetta anticipazione di tutti i grandi temi e i grandi romanzi dello scrittore newyorkese. Una gigantesca metafora che però ha il difetto di non appoggiarsi su una trama solida. La corsa spietata per accaparrarsi l’ambita pellicola ha la forma di un thriller che non riesce a catturare a fondo il lettore. Con tutta probabilità Running Dog non è il miglior romanzo di DeLillo, ma può essere considerato un romanzo-prova, una palestra in cui lo scrittore si è esercitato e ha iniziato a sposare quella corrente postmoderna che lo vede al fianco di Thomas Pynchon e David Foster Wallace.

Top 7 - I migliori romanzi su New York



Molte volte capita di scegliere un libro più per gli ambienti e gli scenari che descrive che per la vicenda raccontata. È un piacevole modo di viaggiare stando comodamente seduti in poltrona. Da sempre ci sono luoghi magici che la letteratura ha saputo raccontare ricoprendo di fascino intere città o paesi. New York è probabilmente la città che più di tutte è stata raccontata e mitizzata. È una metropoli unica; al mondo non esiste città che possa essere paragonata alla Grande Mela. No, nemmeno Londra.
Ecco allora che noi dell’Ignorante abbiamo voluto elencare quei romanzi che per noi raccontano meglio cosa è New York (e cosa è stata). Come sempre ci scusiamo per eventuali esclusioni; si sa, le classifiche lasciano il tempo che trovano, sono solo di passatempi e nulla più.
7 – New York di Edward Rutherfurd. New York è semplicemente una bibbia. Un volume di circa mille pagine che racconta la nascita e lo sviluppo della città dal Seicento a oggi attraverso le vicende della famiglia Master. Un affresco eccezionale per dimensioni e per accuratezza storica.
6 – Darling Days di iO Tillett Wright. Darling Days nasce come diario autobiografico dell’autore/autrice. iO Tillett Wright racconta di come a sei anni decide, in accordo con gli strambi genitori, di far credere a tutti di essere un maschio. È uno scherzo che dura fino ai 14 anni quando iO decide di rivelarsi come donna. Darling Days, che racconta la vita di iO (che oggi si considera uomo) è un inno sincero alla libertà, ma anche il racconto di cos’era il Lower East Side di Manhattan negli anni Ottanta. Un esotico quartiere popolato da tossici e alcolizzati, senzatetto e delinquenti, ma anche scrittori e musicisti, artisti di strada e bohémien. Un quartiere che è stato completamente ripulito negli anni Novanta dall’amministrazione del sindaco Giuliani.
5 – American Psycho di Bret Easton Ellis. American Psycho (che è anche un celebre film con Christian Bale) racconta la storia di Patrick Bateman, giovane belloccio che lavora a Wall Street. Patrick accompagna il lettore nei locali più alla moda e nelle boutique più esclusive della Grande Mela a cui alterna però nottate in cui si trasforma in un assassino freddo e metodico. American Psycho è un geniale romanzo che ha il merito di rappresentare il lato più glamour della metropoli e contemporaneamente mostrare tutte le contraddizioni degli anni Ottanta, decennio in cui la vicenda è ambientata.
4 – L’uomo che cade di Don DeLillo. 11 settembre 2001. Keith Neudecker riesce ad uscire dalla Torre nord del World Trade Center prima che questa crolli. Sporco di polvere, cenere e sangue, Keith decide di tornare dalla moglie Lianne e dal figlio Justin che aveva abbandonato un anno prima. Ma L’uomo che cade è anche la storia di Hammad e dei suoi 18 compagni nella lunga e metodica preparazione dell’attentato. Con L’uomo che cade Don DeLillo riesce a rappresentare il trauma e le inquietudini del mondo occidentale messo in ginocchio da una tragedia senza precedenti.
3 – Ultima fermata Brooklyn di Hubert Selby Jr. Hubert Selby Jr. descrive la violenza dilagante nella Brooklyn degli anni Cinquanta e Sessanta. Un mondo fatto di delinquenti e prostitute, di immigrati e criminali. Selby racconta il suo mondo con una prosa spontanea, un flusso di coscienza brutale che influenzerà, fra gli altri,  i testi di Lou Reed. Una lettura difficile e cruda.
2 – Questo bacio vada al mondo intero di Colum McCann. Un mattino dell’estate del 1974, un anonimo ragazzo cammina su una fune di metallo tesa fra le Torri Gemelle. È Philippe Petit, l’uomo che ha ispirato il recente The Walk di Robert Zemeckis. McCann parte da questo avvenimento per raccontare e intrecciare le vite dei suoi personaggi: un monaco di strada che predica fra le prostitute, una delle quali divide il marciapiede con la madre; un tecnico telefonico, una madre in lutto e una nonna che non si arrende mai. Sfondo della vicenda, ovviamente, la città di New York.
1 – Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay di Michael Chabon. Josef Kavalier è un giovane ebreo che è riuscito a fuggire rocambolescamente da Praga ed è giunto a New York. A Brooklyn ha incontrato Sammy Cly che da subito è diventato suo inseparabile amico. Insieme i due danno vita all’Escapista, eroe dei fumetti e maestro della fuga. La seconda guerra mondiale però è pronta a spazzare via tutto. Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay è un libro perfetto. Perfetto per come mescola gli orrori della guerra, il sogno americano, l’esplosione dei fumetti, delle riviste e della cultura pop. Perfetto per come intreccia storia e finzione. Chabon ha davvero scritto un romanzo immortale.

sabato 25 marzo 2017

Film - Passengers (2016) di Morten Tyldum



In un lunghissimo viaggio, la navicella spaziale Avalon ospita 5000 umani addormentati in apposite capsule che stanno raggiungendo il pianeta Homestead II per costruire una nuova comunità. Fra questi vi è Jim (Chris Pratt), che a causa di un incidente si sveglia con 90 anni d’anticipo sugli altri. Oppresso dalla solitudine, dopo poco più di una anno Jim decide di svegliare Aurora (Jennifer Lawrence), condannandola a vivere la sua vita sull’astronave insieme a lui. Dopo diverso tempo, però, la nave va in avaria mettendo in pericolo Jim, Aurora e le 5000 vite che attendono di raggiungere Homestead II.
Morten Tyldum, regista di Passengers, per sua stessa ammissione voleva realizzare un film di pura fantascienza concentrandosi però più sui rapporti tra i personaggi che sugli elementi prettamente futuristici e irreali che il genere fantascientifico offre. Ebbene, con Passengers il regista di The Imitation Game raggiunge in pieno il suo obiettivo, realizzando un dramma sentimentale con la semplice variazione dei costumi e degli ambienti, tipici di un film dedicato allo spazio. Passengers si apre con Chris Pratt, unico uomo vivo (o comunque sveglio) travolto da una solitudine che man mano si avvicina a una forma di pazzia che lo porta a un passo dal suicidio. Sembra un po’ di essere all’interno del primo episodio di The Last Man on Earth. E come nel telefilm, a salvare il nostro ci pensa una donna. Ci pensa Jennifer Lawrence, ovviamente bellissima e ovviamente intelligente. Tra i due c’è subito sintonia, e non poteva essere diversamente.
Il lieto fine però è lontano: dopotutto è comunque un film che mira alla fantascienza; per un regista e uno sceneggiatore i problemi non sono difficili da creare. Basta allora una semplice avaria per spostare Passengers all’interno dell’action puro, farcito di effetti speciali e adrenalina. È un passaggio rapido e incolore, però, perché la risoluzione del problema e del film non tarda ad arrivare.
Ecco, Passengers è un film che potrebbe porre lo spettatore dinanzi a questioni morali poche volte toccate dal cinema. Potrebbe sfruttare i canoni fantascientifici per spingere al ragionamento del suo spettatore. Ma Tyldum voleva concentrarsi solo sulle relazioni, e dunque Passengers risulta più simile a Titanic che a Odissea nello spazio o Interstellar. Passengers Soddisfa il regista, ma tutto sommato soddisfa pure lo spettatore, che non si annoia mai, ma nemmeno si scalda troppo per un film scontato dall’inizio alla fine.