domenica 26 marzo 2017

Libri - Running Dog di Don DeLillo



Una serie di loschi individui è sulle tracce di un vecchio filmino amatoriale. Tra questi vi è un giovane magnate dell’industria pornografica, un funzionario governativo e il capo di un’agenzia governativa deviata. L’ambita pellicola, infatti, contiene la documentazione di un’orgia avvenuta nel bunker di Hitler pochi giorni prima della caduta del terzo Reich.
Running Dog, che nel romanzo è il nome della rivista per cui lavora la reporter Moll Robbins, anche lei sulle tracce del reperto, esce negli Stati Uniti nel 1978. È il sesto romanzo di Don DeLillo e il primo in cui cominciano a palesarsi le tematiche che caratterizzeranno gli scritti dell’autore americano. Running Dog è un breve romanzo, un concentrato in cui esplode la paranoia della società americano, quel complottismo che sarà centrale in Rumore bianco e Libra.
Ogni episodio raccontato da DeLillo ha la caratteristica di essere una metafora. Attraverso una serie di ambigui ed eccentrici personaggi alla ricerca di una reliquia proibita di epoca nazista, DeLillo mette a nudo il rapporto fra mezzi di comunicazione, organi di potere, sesso a attrazione per il proibito. Anticipando ciò che poi sarà sviscerato in Underworld e Libra, DeLillo devia dalla strada della storia ufficiale, quella raccontata dai libri di scuola, per battere vie più buie e meno conosciute, in cui a prevalere è la storia alternativa, gli inganni, le cospirazioni.
Running Dog è lungo solamente 260 pagine, ma è una perfetta anticipazione di tutti i grandi temi e i grandi romanzi dello scrittore newyorkese. Una gigantesca metafora che però ha il difetto di non appoggiarsi su una trama solida. La corsa spietata per accaparrarsi l’ambita pellicola ha la forma di un thriller che non riesce a catturare a fondo il lettore. Con tutta probabilità Running Dog non è il miglior romanzo di DeLillo, ma può essere considerato un romanzo-prova, una palestra in cui lo scrittore si è esercitato e ha iniziato a sposare quella corrente postmoderna che lo vede al fianco di Thomas Pynchon e David Foster Wallace.

Top 7 - I migliori romanzi su New York



Molte volte capita di scegliere un libro più per gli ambienti e gli scenari che descrive che per la vicenda raccontata. È un piacevole modo di viaggiare stando comodamente seduti in poltrona. Da sempre ci sono luoghi magici che la letteratura ha saputo raccontare ricoprendo di fascino intere città o paesi. New York è probabilmente la città che più di tutte è stata raccontata e mitizzata. È una metropoli unica; al mondo non esiste città che possa essere paragonata alla Grande Mela. No, nemmeno Londra.
Ecco allora che noi dell’Ignorante abbiamo voluto elencare quei romanzi che per noi raccontano meglio cosa è New York (e cosa è stata). Come sempre ci scusiamo per eventuali esclusioni; si sa, le classifiche lasciano il tempo che trovano, sono solo di passatempi e nulla più.
7 – New York di Edward Rutherfurd. New York è semplicemente una bibbia. Un volume di circa mille pagine che racconta la nascita e lo sviluppo della città dal Seicento a oggi attraverso le vicende della famiglia Master. Un affresco eccezionale per dimensioni e per accuratezza storica.
6 – Darling Days di iO Tillett Wright. Darling Days nasce come diario autobiografico dell’autore/autrice. iO Tillett Wright racconta di come a sei anni decide, in accordo con gli strambi genitori, di far credere a tutti di essere un maschio. È uno scherzo che dura fino ai 14 anni quando iO decide di rivelarsi come donna. Darling Days, che racconta la vita di iO (che oggi si considera uomo) è un inno sincero alla libertà, ma anche il racconto di cos’era il Lower East Side di Manhattan negli anni Ottanta. Un esotico quartiere popolato da tossici e alcolizzati, senzatetto e delinquenti, ma anche scrittori e musicisti, artisti di strada e bohémien. Un quartiere che è stato completamente ripulito negli anni Novanta dall’amministrazione del sindaco Giuliani.
5 – American Psycho di Bret Easton Ellis. American Psycho (che è anche un celebre film con Christian Bale) racconta la storia di Patrick Bateman, giovane belloccio che lavora a Wall Street. Patrick accompagna il lettore nei locali più alla moda e nelle boutique più esclusive della Grande Mela a cui alterna però nottate in cui si trasforma in un assassino freddo e metodico. American Psycho è un geniale romanzo che ha il merito di rappresentare il lato più glamour della metropoli e contemporaneamente mostrare tutte le contraddizioni degli anni Ottanta, decennio in cui la vicenda è ambientata.
4 – L’uomo che cade di Don DeLillo. 11 settembre 2001. Keith Neudecker riesce ad uscire dalla Torre nord del World Trade Center prima che questa crolli. Sporco di polvere, cenere e sangue, Keith decide di tornare dalla moglie Lianne e dal figlio Justin che aveva abbandonato un anno prima. Ma L’uomo che cade è anche la storia di Hammad e dei suoi 18 compagni nella lunga e metodica preparazione dell’attentato. Con L’uomo che cade Don DeLillo riesce a rappresentare il trauma e le inquietudini del mondo occidentale messo in ginocchio da una tragedia senza precedenti.
3 – Ultima fermata Brooklyn di Hubert Selby Jr. Hubert Selby Jr. descrive la violenza dilagante nella Brooklyn degli anni Cinquanta e Sessanta. Un mondo fatto di delinquenti e prostitute, di immigrati e criminali. Selby racconta il suo mondo con una prosa spontanea, un flusso di coscienza brutale che influenzerà, fra gli altri,  i testi di Lou Reed. Una lettura difficile e cruda.
2 – Questo bacio vada al mondo intero di Colum McCann. Un mattino dell’estate del 1974, un anonimo ragazzo cammina su una fune di metallo tesa fra le Torri Gemelle. È Philippe Petit, l’uomo che ha ispirato il recente The Walk di Robert Zemeckis. McCann parte da questo avvenimento per raccontare e intrecciare le vite dei suoi personaggi: un monaco di strada che predica fra le prostitute, una delle quali divide il marciapiede con la madre; un tecnico telefonico, una madre in lutto e una nonna che non si arrende mai. Sfondo della vicenda, ovviamente, la città di New York.
1 – Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay di Michael Chabon. Josef Kavalier è un giovane ebreo che è riuscito a fuggire rocambolescamente da Praga ed è giunto a New York. A Brooklyn ha incontrato Sammy Cly che da subito è diventato suo inseparabile amico. Insieme i due danno vita all’Escapista, eroe dei fumetti e maestro della fuga. La seconda guerra mondiale però è pronta a spazzare via tutto. Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay è un libro perfetto. Perfetto per come mescola gli orrori della guerra, il sogno americano, l’esplosione dei fumetti, delle riviste e della cultura pop. Perfetto per come intreccia storia e finzione. Chabon ha davvero scritto un romanzo immortale.

sabato 25 marzo 2017

Film - Passengers (2016) di Morten Tyldum



In un lunghissimo viaggio, la navicella spaziale Avalon ospita 5000 umani addormentati in apposite capsule che stanno raggiungendo il pianeta Homestead II per costruire una nuova comunità. Fra questi vi è Jim (Chris Pratt), che a causa di un incidente si sveglia con 90 anni d’anticipo sugli altri. Oppresso dalla solitudine, dopo poco più di una anno Jim decide di svegliare Aurora (Jennifer Lawrence), condannandola a vivere la sua vita sull’astronave insieme a lui. Dopo diverso tempo, però, la nave va in avaria mettendo in pericolo Jim, Aurora e le 5000 vite che attendono di raggiungere Homestead II.
Morten Tyldum, regista di Passengers, per sua stessa ammissione voleva realizzare un film di pura fantascienza concentrandosi però più sui rapporti tra i personaggi che sugli elementi prettamente futuristici e irreali che il genere fantascientifico offre. Ebbene, con Passengers il regista di The Imitation Game raggiunge in pieno il suo obiettivo, realizzando un dramma sentimentale con la semplice variazione dei costumi e degli ambienti, tipici di un film dedicato allo spazio. Passengers si apre con Chris Pratt, unico uomo vivo (o comunque sveglio) travolto da una solitudine che man mano si avvicina a una forma di pazzia che lo porta a un passo dal suicidio. Sembra un po’ di essere all’interno del primo episodio di The Last Man on Earth. E come nel telefilm, a salvare il nostro ci pensa una donna. Ci pensa Jennifer Lawrence, ovviamente bellissima e ovviamente intelligente. Tra i due c’è subito sintonia, e non poteva essere diversamente.
Il lieto fine però è lontano: dopotutto è comunque un film che mira alla fantascienza; per un regista e uno sceneggiatore i problemi non sono difficili da creare. Basta allora una semplice avaria per spostare Passengers all’interno dell’action puro, farcito di effetti speciali e adrenalina. È un passaggio rapido e incolore, però, perché la risoluzione del problema e del film non tarda ad arrivare.
Ecco, Passengers è un film che potrebbe porre lo spettatore dinanzi a questioni morali poche volte toccate dal cinema. Potrebbe sfruttare i canoni fantascientifici per spingere al ragionamento del suo spettatore. Ma Tyldum voleva concentrarsi solo sulle relazioni, e dunque Passengers risulta più simile a Titanic che a Odissea nello spazio o Interstellar. Passengers Soddisfa il regista, ma tutto sommato soddisfa pure lo spettatore, che non si annoia mai, ma nemmeno si scalda troppo per un film scontato dall’inizio alla fine.

venerdì 24 marzo 2017

Film - Animali notturni (2016) di Tom Ford



La gallerista Susan Morrow (Amy Adams) riceve dall’ex marito Edward (Jake Gyllenhaal) un manoscritto di un romanzo appena terminato a lei dedicato. S’intitola Animali notturni ed è un violento thriller che fin da subito si insinua nella vita di Susan. La lettura, infatti, la coinvolge a tal punto da riconoscere se stessa e il suo burrascoso matrimonio nelle pieghe della trama.
Animali notturni, secondo lungometraggio dello stilista Tom Ford, è un film che si muove, praticamente dall’inizio, su due binari narrativi ben distinti; un romanzo all’interno di un film. Come già accaduto in The Words del 2012, le due linee sono separate ma tutt’altro che parallele, ma anzi destinate all’incontro-scontro ovviamente nel finale. Tom Ford realizza una dramma a tinte noir, in cui centrale è il tema del matrimonio, del rapporto di coppia. Oltre che a giocare con i piani narrativi, il genio di Ford si manifesta nella marcata distanza posta fra i due protagonisti: Animali notturni sviscera il rapporto coniugale trattando singolarmente (flashback esclusi) marito e moglie. Susan è una donna fragile e forse depressa, imprigionata in un matrimonio con il belloccio Hutton (Armie Hammer); è una donna incapace di staccarsi da ciò che è stato, di chiudere con la lettura di Animali notturni così come con il suo passato. È una donna debole, vittima di rimorsi e colpevole di due matrimoni falliti.
E poi c’è Edward: Edward è l’incarnazione della vendetta; una vendetta servita tramite un racconto scritto, una sottile allegoria consegnata e dedicata alla ex moglie, colpevole della fine del matrimonio. Edward e Susan sono personaggi la cui solitudine si rispecchia negli ambienti, nelle abitazioni fredde e asettiche (in certi momenti sembra di essere in Strade perdute di Lynch) e nelle pianure desolate del Texas, luogo in cui si muovono i protagonisti del romanzo che ricorda molto la frontiera di McCarthy.
Animali notturni è un film poderoso, un film che si impegna in una storia a scatole cinesi perfettamente riuscita, non preoccupandosi di chiamare in causa il mondo dell’arte contemporanea, del design e (visto il regista, non poteva essere altrimenti) della moda. È sicuramente un film che impegna lo spettatore per la sua sfarzosità; un’eccessività che però, e qui sta il merito più grande del film, non ha l’intento di mascherare una possibile mancanza di contenuti. Anzi, Animali notturni è un film denso, corposo. Un film che lascia con la pancia piena.

giovedì 23 marzo 2017

Libro - L'estate in cui accadde tutto di Bill Bryson



È l’estate del 1927 e gli Stati Uniti si apprestano a vivere una stagione di eccezionali avvenimenti: Charles Lindbergh è il primo pilota a trasvolare l’oceano Atlantico e raggiungendo Parigi; Babe Ruth e Lou Gehrig animano i campi da baseball con la più grande squadra mai esistita, i New York Yankees. Il pugile Jack Dempsey scalda le folle di tutto il Paese, mentre il cinema conosce il sonoro. E ancora, le riviste e i quotidiani conoscono uno straordinario boom che permette alla popolazione di appassionarsi ai casi di cronaca, mentre le automobili cominciano ad affollare le strade delle città e le metropoli iniziano a svilupparsi in altezze vertiginose. Sono i ruggenti anni Venti, anni di felicità e benessere che saranno spazzati via dalla crisi del 1929 e dalla Grande Depressione che azzererà tutto negli anni Trenta.
Bill Bryson ha passato gran parte della sua vita a viaggiare per il mondo, a osservare da vicino la cultura di ogni popolo scoprendone le caratteristiche, sempre con una curiosità e un’ironia poi presenti in ogni sua opera. Con L’estate in cui accadde tutto, Bryson rinuncia all’indagine geografica per passare a quella storica.
Quello di Bryson è sicuramente un saggio storico, ma un saggio lontano anni luce dai libri scolastici o universitari. Lo scrittore entra nelle pieghe della società del tempo e nel costume per cercare un punto di inizio, un elemento riconducibile al presente. Bryson passa al setaccio ogni elemento della cultura americana nel raffinato gioco del “com’era una volta – come è oggi” e, con la sua consueta ironia e capacità nel raccontare l’aneddoto giusto al momento giusto, fornisce un’idea più che esaustiva di cos’era la vita negli Stati Uniti nel 1927.
Non è tutto rose e fiori quello che esce dal romanzo di Bryson, ma una miscela di eventi positivi come l’esplosione dell’editoria e dell’industria dell’automobile, e di fatti negativi come il dilagante razzismo, l’antisemitismo. Insomma, il quadro dell’America del 1927 fatto da Bryson restituisce un’idea di Paese pressoché identica a quello odierna: il Paese delle opportunità e del benessere, infettato però da tremende ambiguità che la storia non ha saputo eliminare.