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lunedì 30 gennaio 2017

Libro - Una vita come tante di Hanya Yanagihara



A New York si intrecciano le vicende di Willem, aspirante attore, Jb che insegue il successo nel mondo dell’arte, l’architetto Malcolm e l’avvocato Jude.
È proprio quest’ultimo, Jude St. Francis il vero protagonista del racconto, magnete della vicenda e del rapporto di amicizia che tiene legati i quattro amici per gli oltre trent’anni di vicenda raccontata in questo corposo romanzo, il secondo, di Hanya Yanagihara, portato in Italia da Sellerio e tradotto magnificamente da Luca Briasco.
Jude St. Francis è una persona brillante, caparbia e capace sul lavoro; enigmatica, riservata, impacciata e timida nella vita privata. Il personaggio di Jude è l’estrinsecazione di come il passato di una persona ritorna sempre a galla, di come certe ferite non cicatrizzano mai abbastanza e di come il passato di una persona possa diventare uno studio sulla condizione umana tout court.
I temi, fortissimi, sono quelli dell’abuso sessuale di minori, della pedofilia, dell’autodistruzione e, in maniera più tenue, dell’omosessualità maschile. Tutte caratteristiche che compongono il passato e il presente di Jude; due piani temporali che si alternano nella narrazione fluida e magnetica. Un racconto ipnotico che cattura come una serie tv di Netflix eppure sconvolge e tocca nel profondo per la sua cattiveria perversa e per la sua crudeltà.
Ma proprio qui si smascherano i limiti del romanzo: alla fine di una lettura coinvolgente, emozionante e sicuramente drammatica, si ha come l’impressione di aver letto le miserie e le terribili vicende di una persona costruite appositamente per scandalizzare il lettore. Una vita come tante manca di una vera naturalezza, e pecca di sensazionalismo. Sembra di aver letto una episodi messi in sequela con l’intento (un intento quasi costruito a tavolino in ambiente editoriale) di suscitare emozioni forti nel lettore in maniera “fasulla”, quasi truffandolo sfruttando quei temi e quei canali di sicura presa.
La scelta (che pare non casuale) della scrittrice di escludere qualsiasi riferimento all’attualità o alla cultura pop che renderebbero la vicenda collocabile temporalmente abbinata a quella di rendere la città di New York un posto anonimo che potrebbe chiamarsi Los Angeles, Londra o Parigi, hanno l’effetto boomerang di rendere il tutto ancora più distante e inverosimile, quasi una storia di fantascientifica crudeltà a cui l’uomo può essere sensibile ma sicuramente non abituato.