sabato 29 aprile 2017

Film Gold - La grande truffa (2016) di Stephen Gaghan



Kenny Wells (Matthew McConaughey) è un uomo che da sempre cerca di trovare la via per il successo. Grazie alla sua perseveranza, Kenny riesce ad avvicinare il geologo Michael Acosta (Edgar Ramirez) e a convincerlo della presenza dell’oro nel sottosuolo della giungla indonesiana. I due iniziano a scavare e sotto terra troveranno il metallo prezioso, ma anche una serie di guai.
Gold – La grande truffa è un film intrinsecamente americano. La corsa all’oro, infatti è, al pari della conquista del west, uno dei miti fondativi della cultura popolare a stelle e strisce. Parlando di corsa all’oro in campo cinematografico il pensiero non può non andare a La febbre dell’oro capolavoro del 1925 di Charlie Chaplin. A quasi un secolo di distanza il film di Chaplin, grazie alle sue gag, continua a essere film godibilissimo e immortale. E se La febbre dell’oro vive ancora grazie al suo protagonista, Gold sta in piedi grazie a Matthew McConaughey, protagonista del film in grado di calamitare l’attenzione dello spettatore per l’intera durata. In sovrappeso e con una calvizie in stato avanzato, l’attore texano dimostra di confermare quella sua volontà di prendere parte solo a progetti stimolanti e impegnativi. Da Dallas Buyer Club (il film che gli è valso il premio Oscar) a oggi, infatti, McConaughey ha lavorato solo in ruoli tutt’altro che semplici dando prova di eccezionale duttilità e flessibilità. Il suo Kenny Wells di Gold è la rappresentazione dell’everyman americano povero e testardo, che non si arrende mai e che alla fine trova la tanto cercata ricchezza (pagandone poi le conseguenze). Kenny Wells, che a tratti potrebbe assomigliare al Jordan Belfort di The Wall of Wall Street, è soprattutto l’incarnazione del American Dream che ciclicamente Hollywood cerca di proporre al pubblico. Gold, ambientato negli anni Ottanta e ispirato (lontanamente s’intende) allo scandalo minerario Bre-X del 1993 è l’ennesima messa in scena del self-made man, dell’uomo costruitosi con le proprie mani e costretto a scontrarsi con mille avversità, in un mercato economico impazzito e corrotto in un decennio folle. Gold cerca di ricostruire quel periodo storico con la leggerezza del caper movie e con la precisione di un biopic. Collocandosi in una zona limbo, sospeso fra il cinema di intrattenimento e quello di ricostruzione storica come mezzo di riflessione sul presente, Gold risulta un film piacevole, ricco e ipnotico; un po’ come la recitazione di McConaughey.

venerdì 28 aprile 2017

Film - Violet & Daisy (2011) di Geoffrey Fletcher



Le adolescenti Violet (Alexi Bledel) e Daisy (Saoirse Ronan) sono killer professioniste. La vita delle giovani donne cambia quando viene assegnato loro un bersaglio all’apparenza facile da eliminare, il signor Michael (James Gandolfini). La missione, infatti,  si rivelerà ricca di complicazioni.
Violet & Daisy è l’opera prima di Geoffrey Fletcher, sceneggiatore e produttore della pellicola, oltre che regista. Risulta difficile collocare Violet & Daisy in una tassonomia di generi cinematografici. Ci troviamo al confine fra la commedia, il film d’azione e il crime movie; insomma siamo di fronte a un film che s’ispira a Tarantino (quello di Jackie Brown, tanto per capirci), non disdegna il Guy Ritchie degli esordi (Lock & Stock e The Snatch), e per rigore formale e sofisticatezza ricorda a tratti i fratelli Coen.
In questo voler a tutti i costi imitare, omaggiare e ricordare i suoi predecessori, Violet & Daisy si dichiara in maniera piuttosto evidente come un ambizioso tentativo del regista Fletcher. Un tentativo che però riesce solamente in parte: se da un punto di vista tecnico e formale il film è ottimo e risulta godibile e originale, il plot si dimostra al di sotto delle aspettative e non riesce mai a scaldare lo spettatore. Manca un intreccio vero e proprio che riesca a fare da collante ai dialoghi grotteschi e surreali scritti dal regista. Fletcher prova a mettere tanta carne al fuoco, a partire dalla fotografia e dai costumi quasi fumettosi. È assente però un reale spessore psicologico dei personaggi e un giusto finale, che risulta inconcludente e che lascia lo spettatore con diversi interrogativi.
Violet & Daisy, che in Italia non ha mai trovato distribuzione, si colloca sicuramente in maniera involontaria, in quella selva oscura costituita dai wannabees, quelle pellicole che aspirano a essere qualcosa di più grande di quello che sono. La pellicola di Fletcher infatti assomiglia a troppi prodotti già visti e non riesce mai a raggiungere una vera e propria indipendenza. Siamo di fronte, insomma, a un altro film che non regge il confronto con i maestri (il sommo Tarantino citato prima) e che si accartoccia su se stesso scivolando velocemente nel dimenticatoio.

mercoledì 26 aprile 2017

Libro - Il salto. Elegia per un amico di Sarah Manguso



Il 23 luglio 2008, a New York, Harris J. Wulfson si getta sotto un treno della metro. Harris componeva musica e amava le donne, aveva un lavoro, un amore e una vita piena, a tratti felice. Harris però soffriva: la felicità si alternava a momenti di pazzia, di psicosi. Ed è proprio dopo uno di questi momenti di buio che Harris fugge dall'ospedale dove è ricoverato e si lancia sotto un treno della metro. Per Sarah Manguso la scomparsa di Harris è la perdita di un amico, il miglior amico. L'autrice, però, non vuole ricostruire le circostanze del suicidio e neppure scrivere la sua biografia. Il salto è una sorta di memoir, ma soprattutto uno sfogo: un componimento toccante e profondo su cosa vuol dire perdere una persona e convivere con la sua assenza. Il salto è una serie di flash, di brevissimi pensieri, aneddoti, riflessioni su chi è stato Harris, su chi è stato per gli altri, sul significato e le conseguenze delle sue azioni.
È incredibile come nello stesso tempo ci affezioniamo a Harris e ci disinteressiamo della sua vita; Il salto è, come dice il sottotitolo, un’elegia per un amico, improntato però a motivi di confessione autobiografica. Sarah Manguso in questo centinaio di pagine si apre completamente al lettore, si spoglia e racconta attimi privatissimi della sua vita. La scrittrice si dimostra, per alcuni trascorsi, molto vicina a Harris e proprio per questo riesce con lucidità e distacco a trattare il tema del suicidio. Nelle sue parole non c’è rabbia o odio nei confronti di Harris per ciò che ha fatto; c’è dolore profondo per la mancanza, e c’è soprattutto una riflessione sulla perdita accompagnata dalla ricerca del senso della vita di chi resta, di chi continua.
Sono pagine struggenti in cui però è lampante l’incomunicabilità del dolore. La gioia è maggiore se condivisa; ecco, il dolore probabilmente no. Non esiste modo per accedere e scomporre il dolore di una persona, soprattutto quello della perdita. Con le parole si possono fare tante cose, anche tenere in vita e fissare nella memoria collettiva le vite di chi non c’è più. Il salto prova a rendere comprensibile il dolore; nelle sue struggenti e rassegnate parole la Manguso riesce ad avere l’empatia del lettore. Sono però solo brevi momenti destinati a finire presto, perché per quanto possa essere evocativa la parola scritta sul foglio bianco, non lo sarà mai come un sorriso di una persona, la sua voce, un suo abbraccio.

lunedì 24 aprile 2017

Libro - Il senso della lotta di Nicola Ravera Rafele



Tommaso ha 37 anni e un contratto a tempo determinato al Corriere della Sera. È figlio di Michele Musso e Alice Rosato, terroristi delle Brigate rosse morti in un incidente d’auto a Parigi nel 1983. Tommaso è cresciuto con la sorella di Alice, Diana, che è riuscita a garantirgli una vita tranquilla, normale come quella della sua figlia naturale Cristina. Un giorno però, per una casualità, Tommaso scopre che Alice e Michele erano a Grenoble nel 1984. Da quel momento la sua vita si blocca, si ingolfa. Dove sta la verità?
Nicola Ravera Rafele è figlio di Mimmo Rafele e Lidia Ravera. Lui, classe ’47, è un regista e sceneggiatore che ha lavorato con Gianni Amelio e i fratelli Bertolucci;  lei, nata nel 1951, è la scrittrice (assieme a Marco Lombardo Radice) di Porci con le ali, affresco della generazione del Sessantotto. È fondamentale inquadrare il contesto in cui è nato ed è cresciuto Nicola Ravera Rafele. È una premessa necessaria perché il suo Il senso della lotta, contrapponendo passato e presente, cerca di rimettere in discussione l’intero decennio Settanta. Gli ideali, i personaggi e la società di quegli anni vengono ricostruiti dallo scrittore e soprattutto messi in discussione fin dal titolo. Qual è il senso della lotta? A che cosa ha portato la militanza, la collettività? Oltre alle bombe e ai morti, cosa hanno portato gli anni di piombo?
Nella ricerca della propria identità da parte di Tommaso, nell’investigazione che lo porterà alla verità sui suoi genitori, c’è anche la ricostruzione dell’identità di una generazione intera. Una generazione che alla fine degli anni Settanta è passata da una dimensione pubblica a una privata, si è smembrata, polverizzata. Tommaso è il figlio di questa generazione: Ravera Rafele non si occupa solo della ricostruzione dei fatti nel modo più realistico possibile, ma riesce a trasportare tutto nel presente. Il senso della lotta non è un romanzo storico, anzi, è attualissimo; è un puro e splendido esempio di come si possono mettere a confronto due generazioni. C’è quella sessantottina, rivoluzionaria e intrisa di impegno verso la collettività rappresentata da Michele e Alice, e c’è quella di Michele, uomo di oggi interessato a scoprire le proprie origini familiari (quindi esclusivamente private), più che a riscrivere la storia di un Paese che ancora nasconde centinaia di segreti.

domenica 23 aprile 2017

Top 7 - Sette romanzi sulla provincia americana



Per noi umili europei il sogno americano è fatto anche e soprattutto dalle luci scintillanti delle metropoli, dai grattacieli, dalla frenesia delle New York, Los Angeles, Las Vegas. Siamo stati contagiati dal cinema, dalla musica, dal bombardamento di prodotti pop provenienti da oltreoceano. Ecco, però l’America non è solo questo: non sono solo sfavillanti casinò, taxi gialli e locali alla moda. Uscendo dalle città, percorrendo chilometri e chilometri sulle Highway, sulle Interstate e sulle Route, si scopre la provincia americana. Una miriade di piccoli centri abitati da poche migliaia di persone raccolte attorno a una pompa di benzina e qualche negozietto collocato sulla Main Street. La vita scorre lenta nella provincia americana, senza scossoni e stravolgimenti. Eppure all’interno di questo macrocosmo, si è sviluppata una letteratura “rurale” capace di cogliere quello spirito e quegli umori che caratterizzano gli abitanti di queste zone. The Great American Novel, il grande romanzo americano spesso ha volto il proprio sguardo a queste aree del Paese in cui la vita scorre lenta, in cui la tradizione e il folklore vengono prima di tutto il resto, in cui una relazione umana viene prima del denaro.
È un genere affascinante che noi dell’Ignorante abbiamo voluto trattare. Scegliere 7 titoli da uno scaffale che ne contiene migliaia è stato davvero difficile, quasi stupido. Non ce la sentiamo di affermare che questi scelti sono i migliori. Sono solo una minuscola selezione.
7 – Ruggine americana di Philip Meyer. Isaac English ha vent’anni. Pur essendo un genio, per lui il college è solo un miraggio da quando ha tentato il suicidio. Lo ha salvato Billy Pope, ragazzo grande e grosso, ma non tanto sveglio. Siamo a Buell, Pennsylvania; il sogno americano arrugginisce assieme alle acciaierie abbandonate e alle rovine delle fabbriche. L’unica via possibile per i due è la fuga verso Ovest.
6 – Canto della pianura di Kent Haruf. Holt, Colorado. Tom Guthrie insegna storia al liceo e da solo si occupa dei due figli piccoli, mentre la moglie passa le sue giornate chiusa in casa. Victoria Roubideaux ha sedici anni e scopre di essere incinta. Quando la madre la caccia di casa, la ragazza chiede aiuto a un’insegnante della scuola, Maggie Jones, e la sua storia si lega a quella dei vecchi fratelli McPheron, che da sempre vivono in solitudine dedicandosi all’allevamento di mucche e giumente. I romanzi di Kent Haruf sono stati un piccolo caso editoriale in Italia; un successo limpido e puro, come i personaggi che abitano l’immaginaria Holt.
5 – America perduta di Bill Bryson. Bill Bryson ha percorso 22.500 chilometri per le strade dell’America minore, dentro il cuore delle piccole città, alla ricerca della città perfetta, fatta di viali alberati, steccati bianchi e gente cordiale. Un lungo viaggio partito da Des Moines, Iowa che ha toccato improbabili città come Winnemucca in Nevada o Tuscaloosa in Alabama.  L’America al completo filtrata dall’ironia, marchio di fabbrica dello scrittore.
4 – Le correzioni di Jonathan Franzen. Enid e Alfred Lambert, in una città del Midwest americano, trascorrono le giornate accumulando oggetti, ricordi, delusioni e frustrazioni del loro matrimonio: l'uno in preda ai sintomi di un Parkinson che non vuole curare, l'altra con il desiderio di radunare per un ultimo Natale i tre figli allevati secondo le regole e i valori dell'America del dopoguerra, attenti a correggere ogni deviazione dal classico. I figli però se ne sono andati sulla costa: Gary, dirigente di banca, vittima di una depressione strisciante e di una moglie infantile; Chip che ha perso il posto all'università per «comportamento sessuale scorretto»; infine Denise, chef di successo che secondo i genitori conduce una vita privata discutibile. Jonathan Franzen è una delle voci di punta della narrativa contemporanea. Le correzioni sfiora il capolavoro.
3 – Stoner di John Williams. William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, in Missouri, il piccolo paese rurale in cui è nato, mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita, per quasi quarant’anni è infelicemente sposato alla stessa donna, ha sporadici contatti con l'amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo, per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Eppure, la vita di Stoner, nella sua assenza di scossoni e curve, risulta essere un piacevole viaggio all’interno dell’animo umano; un libro magico il cui segreto ancora non è stato svelato.
2 – Shotgun Lovesongs di Nickolas Butler. Henry, Lee, Kip e Ronny sono cresciuti insieme a Little Wing, una cittadina rurale del Wisconsin. Amici fin dall'infanzia, hanno poi preso strade diverse. Henry è rimasto nella fattoria di famiglia e ha sposato il suo primo amore, mentre gli altri se ne sono andati altrove in cerca di fortuna. Ronny è diventato una star del rodeo, Kip ha fatto i soldi in città e il musicista Lee ha trovato la fama ma ha avuto il cuore spezzato. Ora tutti e quattro sono tornati in paese per un matrimonio. Eccelso romanzo sull’amicizia che fa scontrare passato e presente, lealtà e ricchezza, successo e fedeltà.
1 – Jayber Crow di Wendell Berry. Per oltre trent'anni Jayber Crow è stato il barbiere di Port William, un piccolo centro agricolo del Kentucky. Tutti sono passati dal suo negozio, affidandogli, insieme ai capelli e alla barba, pensieri e speranze, sogni e delusioni. Ormai anziano, ci racconta le loro vicende, e attraverso di esse la propria stessa vita. Mentre sullo sfondo scorrono gli avvenimenti della Storia - dalla crisi del '29 alla seconda guerra mondiale, al Vietnam, agli anni '80 - le piccole storie degli abitanti di Port William si intrecciano costruendo una trama di forte verità umana. Wendell Berry è uno scrittore che ha rinunciato alla carriera universitaria per fare vivere in una fattoria e fare l’agricoltore. I suoi romanzi sono intrisi di quell’amore per la terra e per il prossimo che rendono Wendell Berry uno degli scrittori più ottimisti e profondi presenti sul panorama mondiale.