Desmond Doss (Andrew Garfield),
cristiano avventista, si arruola volontariamente nel esercito americano durante
la seconda guerra mondiale. Sarà il primo obiettore di coscienza per essersi
opposto all’uso di qualsiasi arma e verrà impiegato come medico nella battaglia
di Okinawa in Giappone salvando la vita a 75 soldati, diventando il primo
obiettore di coscienza a ricevere la medaglia d’onore.
La battaglia di Hacksaw Ridge è
un film sulla non-violenza; una non-violenza che esplode nel contrasto con la
brutalità e con la follia sanguigna che il conflitto bellico mette in evidenza.
Nella seconda parte del film vi è una vera esplosione di questa contraddizione
visiva che fuoriesce dal campo cinematografico. È Impossibile non pensare che
il suo regista, Mel Gibson, persona macchiatasi di episodi di violenza e di
discutibile moralità in passato, abbia scelto di portare la vera storia di
Desmond Ross sul grande schermo nella ricerca di una sorta di espiazione per le
sue cattive condotte passate.
Desmond Doss è una persona
religiosissima, un cristiano avventista, anch’egli macchiatosi di un episodio
di violenza nei confronti del fratello minore in gioventù, che ha promesso a
Dio di non uccidere, di rifiutare la violenza anche durante la guerra.
Questa religiosità di Desmond,
mai eccessiva o bigotta si trasforma in necessità di fare del bene, di
contrastare quella violenza che solo la guerra sa portare e che Mel Gibson non
esita a riproporre in maniera più che esplicita ma non gratuita. È qui che si
legge la critica di Gibson ai cinecomics, colpevoli a detta sua di svuotare la
violenza di quella coscienza che permetterebbe di evitarla.
È una crociata quella intrapresa
dal regista. Un percorso di redenzione segnato dalla fede, da Braveheart, fino
ad Apocalypto, concetto questo che ri-disegna la figura dell’eroe
cinematografico americano e segna il ritorno di uno dei pochi registi a mettere
sullo schermo i propri travagli interiori.