L’11 settembre del 1973, il
telegiornale Rai trasmette le immagini in bianco e nero del golpe cileno. Per
un gruppo di ragazzi che vive in un paese alla periferia di Napoli, è un
fulmine a ciel sereno. Come si fa a restare impassibili di fronte a quelle
immagini? In quella stagione caldissima, fatta di bombe nelle piazze, di
scioperi e lotte sindacali, Alberto Malinconico, Angelo Malecore e i loro amici
sviluppano una coscienza politica e una forte voglia di rivoluzione. È però un
fuoco che si spegne presto, che si scontra con una realtà difficile, minacciata
dalla criminalità organizzata, ma anche dai primi amori, dalle tensioni
familiari, dalle vacanze vissute all'avventura e termina con il fallimento
degli stessi ideali da cui aveva preso le mosse. E se qualcuno è riuscito a
tagliare i ponti con il passato, costruendosi una vita normale fatta di lavoro
e famiglia, altri invece pur vent’anni dopo devono ancora fare i conti con il
passato di militanza politica.
Il passato davanti a noi di Bruno Arpaia è un libro grandioso.
Grandioso per le dimensioni, e per i contenuti. Lo scrittore di Ottaviano
costruisce un romanzo di formazione intrecciando l’esistenza di alcuni ragazzi
con la cronaca italiana degli anni Settanta. Non manca nulla: le stragi, l’assassinio
di Aldo Moro, i morti nelle piazze, i movimenti operai, il femminismo, ma anche
il cinema e la musica. Arpaia racconta con precisione clinica una intera
generazione costruita attorno a solidi e limpidi ideali e fortemente basata su
una collettività oggi sconosciuta. La voglia di rivoluzione di un gruppo di
giovani napoletani alle prese con il sottosviluppo del meridione si trasforma
presto in coinvolgimento, in militanza, e per alcuni in lotta armata. E quella
purezza di ideali si contamina presto con il sangue, con gli scontri in piazza,
con le rapine e con la clandestinità. È in
questo passaggio che molti si sono perduti: l’idealismo di quel tempo barbaramente
sostituito dal sangue sulle strade, dalle bombe di Stato, dai morti nelle
piazze. Arpaia racconta la nascita, lo sviluppo e il fallimento del “movimento”,
sparito, sconfitto da un ripiegamento
nella vita privata, un disinteresse per la comunità e che lasciato nella
memoria delle persone solo i nomi dei morti e il sangue di piazza Fontana, di
piazza della Loggia, dell’Italicus, della Stazione di Bologna.
Ma tutto questo perché?
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