In un piccolo villaggio tra i
boschi del Maine, vive Hannah (Rebecca Hall), giovane vedova del cantautore
folk Hunter Miles, morto in un incidente sulla montagna di Tumbledown. La
donna, incapace di superare il dolore, vive schiacciata da un lavoro precario, immersa
in una relazionale senza sentimento, in compagnia di due cani e pochissimi
amici. A portare un cambiamento nella sua vita, però, arriva un professore
universitario, Andrew (Jason Sudeikis), deciso a scrivere una biografia del folk
singer per preservarne la memoria nel tempo. Rivivendo la musica e la vita del
marito, Hannah riuscirà ad affrontare il dolore e a riprendere in mano la propria vita.
L’elaborazione del lutto, il
dolore della perdita e la sofferenza di chi resta sono sentimenti facili,
archetipi che la Hollywood contemporanea si diverte a sfruttare per emozionare
il suo pubblico, in costante ricerca del giusto pathos. Tumbledown, prima regia
di Sean Mewshaw, è esattamente questo: una commedia amara in cui i protagonisti
sono due anime in fuga, capaci di incontrarsi e sostenersi. Hannah sta
scappando dalla vita, rinchiudendosi nei ricordi della casa condivisa col
marito, nel suo studio di registrazione; Andrew, invece, fugge dal caos di New
York, alla ricerca di un cambiamento che la metropoli non gli può dare.
Il villaggio innevato e
circondato dai boschi e dalle montagne, diventa così il luogo dello scontro e
dell’incontro fra Hannah e Andrew, un luogo poetico e magico per rivivere il
personaggio di Hunter Miles, folk singer tormentato le cui canzoni sono state
scritte e cantate dal songwriter Damien Jurado, e per elaborarne la perdita,
riuscire a seppellirlo senza dimenticarlo e provare ad andare avanti.
Il freddo inverno del Maine, ma
che potrebbe essere anche quello di Manchester-by-the-Sea in Massachusetts,
rigido, nevoso e glaciale, grazie all’ottima fotografia di Seamus Tierney, si
mischia alla voce di Hunter Miles, una voce delicata, disperata, simile a quella
di un Elliott Smith o a un Bon Iver.
Tumbledown
è un bellissimo esempio di come, ancora una volta, la musica si dimostra strumento
straordinario per rappresentare emozioni, quali il dolore per la perdita e la
sofferenza di chi resta, incapace di dimenticare.