Pietro Zinni (Edoardo Leo), in
carcere con diversi capi d’accusa dopo la creazione di una smart drugs, viene
raggiunto dall’ispettore Paola Coletti (Greta Scarano) che gli propone un
accordo: creare una task force per debellare il fenomeno delle smart drugs e consegnare nelle mani della polizia almeno trenta sostanze.
Il secondo capitolo di Smetto quando voglio, sottotitolato Masterclass, inizia esattamente dove era
terminato il primo film. Sydney Sibilia è abilissimo, sia in fase di scrittura,
sia dietro la macchina da presa a rifare le stesse scene del primo film
riprendendole però da nuovi punti di vista che aggiungono informazioni contenutive.
Un po’ come già visto nella saga di Jason Bourne, in Ritorno al futuro e Fast
& Furious, Sibilia crea una concatenazione perfetta che forma un
collegamento inscindibile col primo film con il quale il pubblico ovviamente si
misura. Questo secondo capitolo, però, ha il pregio di allontanarsi da alcuni
canoni appartenenti alla prima pellicola, sentendosi parte piuttosto di un
universo cinematografico completamente estraneo al panorama italiano. Smetto 2, pur mantenendo la sua
impostazione debitrice alla commedia all’italiana in stile Monicelli, si può
definire come un primo esempio di action-comedy nazionale, un’americanata di
casa nostra in cui ogni cliché del genere
trova il proprio posto. C’è il richiamo al mondo spionistico di 007 con i suoi fantomatici gadget; ci
sono gli inseguimenti per le strade di Roma, una Roma psicotropa e lisergica
dai colori sgargianti quasi fossero filtrati con Instagram. Ci sono le gag,
esilaranti e sofisticate, che non riducono il film a una serie di sketch. È soprattutto
un action: ci sono i buoni, ci sono i
cattivi e c’è lo scontro finale, un assalto al treno che non può non richiamare
un’intera iconografia hollywoodiana classica.
Sibilia, classe 1981, con Smetto quando voglio – Masterclass riesce
nell’impresa, per un film italiano, di garantire alla sua pellicola un
carattere di internazionalità senza per questo tradire la propria terra e la
propria società: i due film raccontano la condizione di precariato di una
classe di lavoratori, sconosciuta nella stragrande maggioranza dei Paesi
esteri. Il fenomeno dei “cervelli in fuga”, è l’appiglio necessario al quale
aggrapparsi per ampliare il racconto per numero di personaggi e di ambienti, ma
soprattutto per non dimenticare che il grottesco delle scene deriva da una
triste realtà.
Nel cinema italiano di oggi,
senza una vera industria capace di progettare a medio lungo termine, la saga di
Smetto quando voglio, il cui terzo
capitolo è già in cantiere, si presenta come un gioiello in grado di richiamare
(e speriamo di riavviare) quel cinema di genere che tra gli anni Sessanta e
Settanta faceva riempire le sale di tutta Italia in nome di un sano e innocente
intrattenimento.