Probabilmente da questa domanda è
partito Rodge Glass per il suo Voglio la testa di Ryan Giggs, romanzo calcistico
di ambientazione british che richiama i 15 minuti di celebrità di Warhol e il
rapporto fra fan e star.
21 novembre 1992. Il giovane Mike
Wilson, talentuoso prodotto del vivaio del Manchester United, sua squadra del
cuore e sua unica ragione di vita, fa il suo esordio in Premier League, la
massima serie del campionato inglese. Dopo appena 133 secondi, un passaggio
sbagliato di Ryan Giggs, stella nascente della squadra e suo idolo, lo
costringe a un goffo intervento su un avversario che gli costa il cartellino
rosso e un gravissimo infortunio che gli spezza la carriera. È da questo fatto
che le vite di Wilson e Giggs prendono strade diverse: il primo verso un
inesorabile declino, il secondo verso una delle carriere più leggendarie che si
siano mai viste nel Regno Unito.
La vicenda di Mike Wilson è la storia di tutti
noi, aspiranti campioni, piccoli fenomeni in erba che per un motivo o per l’altro
hanno fallito, hanno rinunciato e ripiegato sulla vita comune, fatta di ufficio
dalle 9 alle 18, di serate in famiglia davanti alla tv, di weekend con gli
amici. Voglio la testa di Ryan Giggs rappresenta la parte sinistra e perversa
di Febbre a 90°, il mitologico romanzo semiautobiografico di Nick Hornby sulla
sua passione smodata per l’Arsenal. La duplice ossessione per il proprio idolo
Ryan Giggs, colpevole della fine prematura della carriera, ma artefice dei
successi della squadra del cuore diventa il simbolo di un calcio visto come
principale (e forse) unica soluzione di riscatto da una vita grama e
fallimentare.
Voglio la testa di Ryan Giggs è
un romanzo amaro, racconto di tutti quelli che non ce l’hanno fatta, di tutti i
Mike Wilson di questo mondo.