Paterson, New Jersey. L’autista
di autobus Paterson (Adam Driver), ogni mattina esce di casa per andare al
lavoro e a fine giornata, sempre alla stessa ora, torna a casa dalla moglie
Laura (Golshifteh Farahani) e dal loro cane che tutti i giorni porta a spasso. La sera poi entra sempre nello stesso locale
per bere sempre una birra e chiacchierare con il barista. La vita di Paterson è
scandita da una solida e comunissima routine, una normale esistenza che gli dà
ispirazione per la sua vera passione: la poesia.
Jim Jarmusch è un regista
geniale. Non è certo un’affermazione avventata definire il regista coi
basettoni uno degli autori più riconoscibili e particolari che il cinema
americano di oggi offre. Paterson è
un limpidissimo esempio di come la poesia, forma d’arte basata sull’accostamento
di parole che rispettano determinate leggi metriche, sia il tema centrale di un
film, prodotto che per definizione si basa invece soprattutto sull’immagine.
Ci sono centinaia di romanzi che
raccontano le oneste vite di personaggi qualunque, di agricoltori, di operai,
di commercianti le cui vite non subiscono mai scossoni. Ci sono il William Stoner
di John Williams, il Frank Bascombe di Richard Ford e il Jayber Crow di Wendell
Berry. L’impresa di Jarmusch è stata quella di aver portato una di queste
storie in un film e di aver utilizzato la poesia come veicolo di interesse. È una
traslazione che può apparire banale, ma che tiene in piedi tutto il film: i
sette giorni della settimana di Paterson raccontati da Jarmusch iniziano tutti
allo stesso modo, ma prendono tutti una direzione impercettibilmente diversa l’uno
dall’altro. Il regista porta l’anafora, figura retorica che consiste nella
ripetizione dell’inizio di un verso, dentro lo schermo, nell’immagine. Ogni
giorno inizia allo stesso modo, ma procede in maniera impercettibilmente
diversa, condizionato dai dialoghi con la gente, dalle conversazioni, dalla
vita della città di Paterson che scorre. Ecco, il passaggio geniale: ecco come
un film, può raccontare la profondità della vita di un semplice autista di
autobus. La poesia si fa sussurro, voce fuori campo e scritta sullo schermo che
accompagna Paterson (l’uomo e la città) nella sua vita, nei suoi incontri,
nelle sue passeggiate e che si fa strumento perfetto per la creazione di una
curiosità; una curiosità necessaria per dare colore al mondo e per formare quel
disordine controllato che elimina la noia dalle nostre vite.