La figura Jacqueline Kennedy, che
nel suo tailleur rosa imbrattato di sangue, presenzia al giuramento dl Lyndon
B. Johnson poche ore dopo l’assassinio del marito è una delle immagini più
terribili e iconiche del secondo dopoguerra americano. Jackie caparbia nel
voler apparire in pubblico fin dai primissimi minuti dopo l’omicidio si staglia
nell’immaginario collettivo occidentale come figura femminile di enorme coraggio
e contegno, un esempio per tutti.
Jackie,
primo film americano del regista cileno Pablo Larraín, è la ricostruzione del
travaglio interiore vissuto dalla first lady nei giorni seguenti al brutale
omicidio del marito a Dallas.
Una settimana dopo la vicenda,
Jackie (Natalie Portman) decide di incontrare a Hyannis Port, Massachusetts,
tenuta estiva della famiglia, Theodore H. White, giornalista di Life. L’intento è quello di costruire un
racconto eterno che possa innalzare
la figura di JFK e della moglie nell’olimpo degli immortali.
Pablo Larraín, in collaborazione
con lo sceneggiatore Noah Oppenheim, riesce nel tentativo di riscrivere le
regole del biopic classico
hollywoodiano. Jackie è un
concentrato di avvenimenti che non seguono alcuna linea temporale e che
soprattutto miscelano la verità, quella del documento televisivo e del filmato
originale, e la menzogna. Una menzogna volontaria, una pseudologia cosciente
quella messa in piedi dalla moglie del Presidente, persona distrutta dal lutto
e dalla perdita, ma soprattutto dalla paura di essere dimenticata, di perdere
tutto e di cadere nell’oblio come James A. Garfield e William McKinley, anonimi
Presidenti assassinati ben prima di Kennedy. La genialità di Larraín sta
proprio qui: la verità pura non può mai essere raggiunta, ma può esistere solo
attraverso la mediazione di un punto di vista, di una fonte. Il regista cileno
rifiuta quindi l’esatta costruzione storica degli eventi più volte affrontata
dal cinema e dalla pubblicistica in prodotti di variabile qualità.
La macchina da presa segue per
tutta (ma proprio tutta) la durata del film Jackie, interpretata da Natalie
Portaman che stanislavskijanamente contiene e sopprime il dolore della perdita.
Jackie non è e non vuole essere l’elaborazione del lutto, ma la messa in scena
dell’umanità di una donna, nascostasi per anni dietro la sua immagine pubblica,
nel tentativo di rimanere aggrappata alle proprie certezze, ai propri ambienti
e ai propri averi. La Casa Bianca, mai così sfarzosa e elegante al cinema è la
Camelot della donna, il terreno su cui costruire e architettare la propria
immortalità. Una serie di stanze enormi e luminose, un tempo sfarzose ma oggi
vuote e silenziose, enucleazione dell’incertezza e della paura che rendono
tutti noi inesorabilmente animali indifesi.