Luca Moccia (Luigi Lo Cascio),
ispettore di polizia, è costretto a indagare sulla morte di una giovane ragazza
uccisa durante una pratica di sesso estremo. Le inchieste lo portano nel mondo dello
scambismo, ambiente che lo ossessiona al punto tale da considerare di
coinvolgere nelle proprie fantasie erotiche la propria compagna Veronica (Anna
Mouglalis), donna francese trasferitasi in Italia per lui.
Film debole questo Mare nero.
Roberta Torre non cade nel tranello di girare un Eyes Wide Shut in versione
spaghetti, ma gioca comunque male le proprie carte, trattando la psicologia
maschile in modo distaccato e quella femminile in modo superficiale. Ne esce un
film inconcludente, e per la durata (83 minuti), e per eccedenza di
minimalismo, eccessiva patinatura e la sola presenza di due colori: il nero per
la notte, il buio dei parcheggi puntellati dai guardoni, i vestiti. Il bianco
per le pareti scarne della casa di Luca alle prese col trasloco, i corridoi del
commissariato, gli stanzoni dell’obitori, i corpi femminili.
Non siamo in un giallo anni
Settanta, ma purtroppo il paragone (impietoso) viene facile: eros, thanatos e
soprattutto l’intercambiabilità e la compenetrabilità dei due principi è
assente. Manca l’atto di uccidere come l’atto del possedere e sua negazione. Manca
il desiderio sessuale, la perversione, la follia. È tutto sussurrato, misurato
e controllato, e le quattro frasi riparatorie della coppia Lo Cascio-Mouglalis
funzionano come un ombrellino pieghevole durante l’Apocalisse.