Quattro detenuti del carcere di
Civitavecchia escono per un permesso di 48 ore. Fra loro non si conoscono: sono
Rossana (Valentina Bellè), ragazza di 25 anni arrestata per aver portato in
Italia 10 chili di cocaina dal Brasile; Luigi (Claudio Amendola), cinquantenne
che ha già scontato 17 anni per duplice omicidio; Angelo (Giacomo Ferrara),
giovane finito in carcere per una rapina a un distributore finita male; Donato
(Luca Argentero), 35 anni e condannato ingiustamente. Nei due giorni di libertà
i quattro individui cercheranno di mettere ordine nelle loro esistenze e
ritrovarsi nelle loro realtà di un tempo.
Quanta strada ha dovuto
percorrere Claudio Amendola prima di potersi far conoscere come regista. Se il
suo precedente film, l’ottimo La mossa
del pinguino, era una commedia perfettamente aderente ai canoni del genere,
con Il permesso – 48 ore fuori, l’attore
(ma a questo punto pure regista e sceneggiatore) romano sceglie di intrecciare
storie di persone sbandate, di personaggi messi ai margini della società in una
Roma periferica e cruda. Amendola sceglie i toni del noir (e con Giancarlo De
Cataldo come co-sceneggiatore non poteva essere altrimenti), e nelle vette più
sanguigne del film ricorda un cinema italianissimo ma purtroppo dimenticato:
quel noir urbano e senza speranza che aveva in Fernando Di Leo il suo miglior
esponente. Il permesso è la
dimostrazione di come fortunatamente il buon cinema di genere è vivo o comunque
possibile nel nostro Paese, ormai praticamente scisso in due fra commedia e
cinema d’autore.
Il permesso
può essere visto come l’ulteriore passo in avanti su un percorso iniziato con Non essere cattivo e Suburra. Se registi come Brizzi,
Genovese e Veronesi non trovano difficoltà realizzative per rimpinzarci di
immagini di un’Italia pulita, frivola e sorridente, Amendola, con una regia
pulita, con un ottimo cast, con una colonna sonora dalla forza evocativa, ma
soprattutto con la sua esperienza, riesce a mostrare il lato brutto, sporco e
povero dell’Italia lanciandosi in una non superficiale analisi sociale. L’attore
nella sua regia riversa ciò che probabilmente ha appreso in Ultrà, in Soldati – 365 all’alba, in Poliziotti
o in Domenica, in Suburra. Ci troviamo probabilmente alla
fine di un percorso che il regista ha intrapreso più di trent’anni fa: oggi Amendola
è un regista consapevole e Il permesso –
48 ore fuori è un film molto potente.