Con Il Paese che amo, edito dai
tipi della Marsilio, Simone Sarasso conclude il racconto del lato oscuro del lungo
dopoguerra italiano con il capitolo finale della trilogia iniziata con Confine
di Stato e proseguita con Settanta.
In Il Paese che amo ritroviamo i
personaggi già conosciuti nelle precedenti parti della trilogia a cui si
aggiungono characters nuovi, alter ego di personalità che hanno caratterizzato
e condizionato la storia del nostro Paese dagli anni Ottanta a oggi.
C’è proprio tutto. C’è la mafia e
la stagione delle bombe, c’è Bettino Craxi e il suo Partito Socialista. Ci sono
le tv private, la Milano da bere e la Uno Bianca. C’è Tangentopoli e la figura
di Domenico Incatenato che ricorda molto quella di Antonio di Pietro. Sarasso,
come nei precedenti due romanzi, è abilissimo nel rievocare e legare fra
loro fatti e avvenimenti del tempo
utilizzando un linguaggio visivo in linea con il mezzo cinematografico; un
linguaggio dalle venature pulp, graffiante e tagliente come il suo grande
modello, quel James Ellroy che, prima di Sarasso, aveva ricostruito la storia
del suo Paese, gli Stati Uniti, da Kennedy al Watergate.
Ma con Il Paese che amo il
giovane scrittore italiano si allontana in parte dal lavoro di Ellroy. In questo
ultimo romanzo che chiude degnamente la trilogia, Sarasso sacrifica la
correttezza storica per concedersi licenze dettate dalla voglia di lasciar
primeggiare la fiction, nel suo stile fumettistico e personale, sull’aderenza
ai fatti.
È una scelta che si rivela più
che azzeccata, perché il periodo storico trattato, al contrario delle prime due
parti della trilogia, non permette di arrivare a conclusioni di alcun tipo:
oggi, nel 2017, la strategia della tensione e gli anni di piombo si possono definire
periodi bui conclusi, mentre il lerciume portato nella nostra società e nel
nostro costume da anni di pratiche clientelari e loschi personaggi da tv private ancora,
ahinoi, non è misurabile.