È il 1975.
Anni bui per L’italia; Piazza Loggia e l’Italicus sono ancora ricordi troppo
freschi per essere dimenticati. Tra le campagne mantovane Pier Paolo Pasolini
sta girando il suo Salò o le 120 giornate di Sodoma. Pochi chilometri più a sud,
nella pianura parmense, Bernardo Bertolucci sta lavorando al suo Novecento. Il 16
marzo di quell’anno, in occasione del compleanno di Bertolucci, viene
organizzata una partita di calcio fra le due troupe. Tra i personaggi che
popolano le tribune e il campo di gioco ci sono Alberto, bambino sensibile e
solitario; Vincenzo, terrorista nero con una missione da compiere; e Francesco,
sedicenne dal talento immenso, “comprato” per l’occasione dal team di
Bertolucci.
Da questa
innocua partitella fra amici e colleghi, si snoderanno e si intrecceranno le
vicende di questi personaggi e della storia recente del nostro Paese, tra anni
di piombo, calcioscommesse, totonero e Mundial spagnolo.
Garlini si
diverte a giocare con la storia recentissima italiana e con le sue icone,
inserendovi fatti e personaggi di pura fantasia. Su tutti spicca la figura di
Francesco Ferrari, talento cristallino corrotto dalle scommesse e debilitato da
una malattia. Forse ispirato a Carlo Petrini, forse a Ezio Vendrame, Ferrari è
il vero protagonista di questo romanzo, simbolo e icona (al pari di Pasolini)
della fine dell’innocenza del nostro Paese, anima fragile che ritrova solo nel
Fútbol Bailado che dà il titolo al libro la voglia di vivere e divertirsi.
Romanzo
complesso, questo di Garlini, che porta avanti la narrazione su piani temporali
diversi, attraverso le voci dei suoi personaggi, schivando e zigzagando fra le trappole
di retorica che un racconto di questo genere potrebbe riservare. In un’epoca in
cui il calcio e il mondo si apprestano ad abbandonare il bianco e nero della
televisione per abbracciare un mondo in multicolor,, il Fútbol Bailado si contrappone come attimo di
purezza e felicità, emblema di uno sport che ormai non c’è più, sconfitto dagli
sponsor, dai soldi e dalle tv. E non importa se non si ha il talento di Garrincha
o di Ferrari, perché quello che conta, in fondo, è solo divertirsi.