Bruno Dante ha 40 anni ed è un
fallito. alcolizzato, senza lavoro e con una moglie in procinto di chiedere il
divorzio, esce dalla clinica in cui è stato ricoverato dopo aver tentato il
suicidio per volare a Los Angeles e stare vicino al padre sul letto di morte. Nella
città degli Angeli Bruno cercherà di mettere a posto la propria vita e dare un
senso alla sua esistenza.
Bruno Dante è l’ennesimo antieroe
che la letteratura contemporanea americana ci propone e, francamente, non ne
avevamo tanto bisogno, soprattutto perché la Los Angeles d Dan Fante è troppo
simile a quella narrata da Bukowski e il suo Henry Chinaski pare riaffiorare
anche in questo Angeli a Pezzi.
Ma c’è un però, e meno male. il
padre morente di Bruno Dante, tale Jonathan è uno scrittore semi-dimenticato,
che in passato ha pubblicato un splendido romanzo, Chiedi al vento. Diventa
palese: Jonathan Dante è John Fante, Chiedi al vento è Chiedi alla polvere e
Bruno Dante è Dan Fante. Così cambia tutto. Bruno Dante passa da essere una macchietta
tenera e semplice, a essere colonna portante del romanzo, il cui spessore si
ingigantisce. Angeli a pezzi diventa così un’autobiografia, in cui esplode la rabbia
di Dan Fante di portare un cognome così pesante e di sfondare come scrittore (il
primo romanzo a 54 anni), la sofferenza per aver vissuto una vita misera, non
sentendosi mai all’altezza del padre. Esplode anche il dolore per la perdita, perché
Dan (o Bruno, ma è lo stesso) nell’elaborazione del lutto si accorge che un
padre non può mai essere odiato, nonostante tutto.