La storia del calcio è costellata
di allenatori leggendari che, per i risultati ottenuti, vengono sempre
accomunati al nome della squadra che hanno guidato; la Juventus di Lippi, il
Manchester di Ferguson, la Grande Inter di Herrera. In quella metafora che vede
il gioco del calcio come una guerra combattuta da due eserciti su un campo di
battaglia, l’allenatore assume in pieno la funzione del condottiero, di vero e proprio Alessandro Magno pronto a
morire per i suoi giocatori.
A Liverpool, tra il 1959 e il
1974, questa persona è stata Bill Shankly. Bill Shankly è stato l’uomo che
raccolse il Liverpool dai campi fangosi e acquitrinosi della Seconda Divisione
inglese e lo portò a vincere tre campionati, due Coppe di Inghilterra, quattro
Charity Shield e una Coppa Uefa.
Red or Dead, romanzo di David Peace, racconta l’epopea di
Bill Shankly sulla panchina del Liverpool ed è il seguito ideale de Il maledetto United, racconto che descriveva
i 44 giorni di permanenza sulla panchina del Leeds United di Brian Clough, uno
che, insieme a Shankly, è considerato tra i più grandi allenatori della storia
del calcio inglese.
Red or Dead,
è bene chiarirlo, non è una cronaca sportiva; il palmares del Liverpool e di
Shankly sono disponibili online, non serve leggersi un libro di più di 600
pagine. Non siamo nemmeno in presenza di un memoriale calcistico intriso di
quella nostalgia che al giorno d’oggi va tanto di moda. Red or Dead è un romanzo calcistico che non parla di calcio. David
Peace, attraverso un’accurata ricostruzione storica basata su un’ampia
bibliografia fornita al lettore nelle ultime pagine del libro, prova a spiegare
l’importanza di alcuni valori sportivi e civili. Bill Shankly è stato un uomo
che ha fondato la sua esistenza di marito, padre e professionista sull’umiltà,
sul rispetto e sul lavoro. Dalle pagine scritte nel suo stile conciso e
tagliente, Peace ricostruisce un calcio fatto di gentiluomini capaci di guadagnare
molto, ma di rispettare la parola data, di sudare quotidianamente per regalare
un sorriso alle migliaia di persone accalcate sulle traballanti tribune degli
stadi di tutta Inghilterra. Insegna che non c’è nulla di male dal farsi
prendere dall’ossessione per la vittoria, per i tre punti (che un tempo erano
due), per quel successo che a fine stagione può voler dire alzare una coppa. L’ossessione,
secondo Peace e secondo Shankly corrisponde alla passione, tormentosa,
sanguigna, vero e proprio debito nei confronti di quelle persone che
sacrificavano tempo e denaro per assistere alle gesta della squadra della
città.
Red or Dead
racconta come dovrebbe essere lo sport dai due lati: da chi lo pratica e da chi
lo guarda. E non importa se giocate in Serie A o all’oratorio con gli amici. Perché
siamo sempre e comunque tutti uomini.
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